Molti problemi della società
cominciano in famiglia, anche se cerchiamo di nasconderlo a noi stessi. I
genitori di oggi sono convinti di essere migliori dei padri: meno autoritari,
più comprensivi e tolleranti. Amici. Questa è la nostra versione. Un’altra versione
è che trattiamo i nostri figli come consumatori e non come individui pensanti.
Li riempiamo di roba e oggetti rubatempo fin da piccoli ed evitiamo d’imporre
regole e divieti, in modo da conquistare il loro consenso. E lamentiamo alla
fine che i ragazzi cerchino comunque una rottura, un modo di dire “no” anche
quando il livello di richieste è diventato minimo, irrisorio rispetto alle
pretese di obbedienza dei nostri vecchi. Senza neppure lasciarsi sfiorare dal
dubbio che quella voglia di “no” sia la risposta più sana e naturale alla
finzione del presepe consumista. La società fuori dalla porta di casa rimane un
luogo di conflitti ed è bene, in parte, che lo sia. Perché attraverso il
conflitto ci si conosce, si mettono alla prova della vita reale idee e valori,
si coltivano capacità critiche e creative, in una parola: si cresce. Negare ai
figli il primo naturale scontro con i padri, sottraendosi alla dolorosa
battaglia, è un modo di renderli più dipendenti e fragili. Più soli e indifesi,
persi per ore a navigare su Internet alla ricerca di relazioni illusorie, che
non producono alcuna reale esperienza di vita. Significa renderli più
plasmabili a una società che lavora ogni giorno per trasformare cittadini
maturi in consumatori passivi. La scuola, o meglio gli insegnanti, e non certo
tutti, sono uno dei pochi fattori di resistenza all’omologazione. Per questo
negli ultimi decenni, una finta riforma dopo l’altra, si è giunti a demolirne
il ruolo e il prestigio. E tuttavia si continuano a escogitare trovate “moderne”.
Ora, per fare un esempio, io non ho nulla contro l’introduzione a scuola di
tablet e smartphone, che possono essere, che possono essere dice il ministro
Fedeli, anche strumento di studio. Ma che il dibattito sulla modernizzazione si
riduca a questo, o ad avviare i giovani al tirocinio nei fast food, è davvero
desolante. Senza nulla togliere a i Pone 8, forse sarebbe più urgente far
scoprire agli studenti di una scuola, dove i programmi si fermano all’ottocento,
la poesia di Caproni, la prosa di Gadda o Pasolini ola storia della guerra in
Vietnam, che non possono contare sulle poderose campagne pubblicitarie di
Apple. Altre modernizzazione: abbassare l’età media dei docenti, adeguare gli
stipendi alle medie europee, mettere in sicurezza gli edifici e così via.
Certo, lo studente ora potrà chiamare il 112 mentre gli crolla il tetto sulla
testa, vedi che progresso.
Curzio Maltese – Contromano – Il Venerdì di La Repubblica –
22 settembre 2017 -
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