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martedì 19 settembre 2017

Lo Sapevate Che: Mio figlio è innamorato. E io torno adolescente...



Sono Tra Quelli che si commuovono, che piangono guardando un film o la pubblicità progresso, che cascano in ogni trappola retorica. Sono tra quelli a cui la voce si rompe spesso. Adoro le vite degli altri tanto che mi piacerebbe entrarci dentro, magari un giorno al mese, per contratto. Pendo dalle labbra di chi mi racconta di torbide passioni, di rivoluzioni domestiche o lavorative, di sogni realizzati, di scommesse dall’esito incerto. Ho la tendenza a immedesimarmi, a cadere vittima di transfert rapiti e sognanti, a indossare i panni altrui anche senza permesso. Eppure con loro non mi era mai successo. Con i miei figli non mi ero ami identificata prima d’ora. Forse perché l’amore per loro è già abbastanza prepotente e feroce e intrusivo e capillare per lasciare spazio ad altre forme di simbiosi. Forse perché erano tutti e tre piccoli, oltre che maschi, e vestivano panni troppo diversi dai miei. Forse perché abitavano il territorio incantato e aspro dell’infanzia, dove gioie e drammi parlano lingue aliene, dove il tempo è un punto e non una linea, dove il centro del mondo sta comodo in un piccolo ombelico. Per loro ho palpitato, tifato, gioito, sofferto e sognato. Ma in loro non avevo mai vissuto. Fino a ora. Mio figlio maggiore ha 14 anni, e dell’adolescenza, oltre che lo stordimento, l’indolenza e l’umoralità, quest’estate ha vissuto le sfrenate emozioni. Ha scoperto nuovi pianeti, ha esplora nuove frontiere, ha trovato nuovi amici, ha sperimentato nuovi talenti, ha incontrato un amore, folgorante e definitivo come ogni amore quattordicenne che si rispetti, ha vissuto il lacerante struggimento di una separazione. Avevo mantenuto i nervi saldi di fronte alla scomparsa di Lino, l’orsacchiotto transizionale fondamentale per il sonno del primogenito allora 3enne. Ero rimasta lucida quando, a 2anni, il medio aveva buttato il ciuccio nella spazzatura per poi pentirsene a distanza di 48 ore. Non mi aveva turbato la minaccia del numero tre, che annunciò che non sarebbe mai più andato a scuola. Nessuno dei loro languori era stato il mio, per nessuna delle loro battaglie avevo indossato la loro armatura. Poi è arrivato lui, con le sue spalle larghe da uomo, il suo sguardo sgranato verde e blu di bambino, il suo candore ruvido, la sua spacconeria irritante, i suoi interrogativi disarmanti. Ha detto: “Sono cambiato”. Ed era vero. E il suo struggimento è diventato il mio. Perché l’infanzia è un ricordo magico e nebbioso dietro una porta che abbiamo chiuso da tempo. Ma l’adolescenza è una memoria vivida, è una stanza chiassosa in cui ogni tanto rientriamo, è una parte terrificante di noi a cui restiamo indissolubilmente legati, un piccolo fuoco pazzo che non si estingue nemmeno sotto il temporale. Un adolescente innamorato è uno spettacolo ipnotico ed estenuante, come il riflesso impetuoso dentro uno specchio magico. Nella nostalgia settembrina ho visto un biondino di Piacenza che mi baciò in agosto e mi lasciò in ottobre, un piccolo pescatore eoliano dagli occhi verdi di xui ancora conservo la foto, la fine di un’estate come la fine del mondo. E, come nei videogiochi, sono passata a un livello successivo. Perché oggi, come ieri, devo contenere, sgridare, educare, reprimere e accompagnare. Ma ogni tanto, o spesso, mi ritroverò nei tormenti di mio figlio, nelle sue gioie sfrenate e nei suoi tunnel sgangherati. Mi capiterà di riconoscerli e di riconoscermi. Allora annegherò nell’empatia. Ma gli dirò che non importa, che poi passa, che la deve smettere, nella consapevolezza mia e sua che, da una parte e dall’altra della barricata, come spesso accade, siamo tutti uguali.
Claudia de Lillo – Opinioni – Donna di La Repubblica – 16 settembre 2017 -

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