Le Scrivo In Risposta alle lettere pubblicate sui numeri
1052 e 1053 di D, perché mi hanno
molto colpito, come se parlassero precisamente a me o, ancora di più, come se
io stessa le avessi scritte. Anch’io come la lettrice del numero 1053, ho
trent’anni e ho scelto nella ma vita di conoscere la realtà attraverso lo
studio, prima ancora di sperimentare nel modo reale determinate situazioni che,
come riti di iniziazione, vengono considerate tappe imprescindibili (ma lo
saranno davvero?) della crescita di una persona. E anche io, come Ludovico,
sono un’artista in fieri, una scrittrice che fatica a trovare il suo spazio e a
guadagnarsi da vivere con il frutto della propria arte. Mi sembra che, entrambi
rappresentino bene il grido di una generazione, e a loro, a me stessa, a quelli
come noi, vorrei dire soltanto due parole: non arrendetevi. On arrendetevi a
chi vi dice che c’è un solo modo di sperimentare il reale, che la pratica (le
cosiddette “esperienze”) vale più di qualsiasi chiave interpretativa si
possegga per capire, e spadroneggiare con consapevolezza, le situazioni della
vita. E non pensate nemmeno che i passi indietro debbano essere definitivi.
Illudersi mai, ma è ancora più sbagliato non ribellarsi a questo stato di cose,
che ci vuole tutti pronti a rinunciare ai nostri sogni, dopo che siamo stati
educati e formati per poter desiderare di tutto, persino di fare uno scatto in
avanti rispetto ai nostri genitori. Anch’io ho dei genitori che rispetto molto,
che mi hanno dato tanto e continuano a sopportarmi anche in questo momento
economico difficile, e capisco benissimo il momentaneo passo indietro di
Ludovico, che però non deve per questo rassegnarsi all’idea che sia per sempre.
Siamo tropo giovani e abbiamo troppa vita davanti per pensare che tutta la
nostra arte e la nostra carriera vadano definite prima dei trent’anni. E siamo
abbastanza liberi da non permettere a nessuno, nemmeno agli amici di invitarci
a cedere a una singola visione della vita, che pretende che “facciamo
esperienze” a una certa età e in un certo modo, se cogliamo dire di avere
vissuto davvero. La realtà è troppo complessa per pensare che sia tutto qui,
che le possibilità siano così limitate, che ci sia un solo modo di approcciarsi
a essa. Continuiamo a lottare, per adattarci allo stato di cose, va bene, ma
anche per provare, uno sforzo dopo l’altro, a cambiarlo in meglio. Ilaria Vigorito Ilaria.vigorito@libero.it
Le Strade
S’Incrociano: sia quella di Ludovico, che per salvare l’azienda di
famiglia sull’orlo del fallimento rinuncia momentaneamente alla sua vocazione
artistica (lettera 1052), sia quella della lettrice che non vuol far conoscere
il suo nome, perché stanca di essere accusata di intellettualismo per aver
anteposto la conoscenza alla pratica di vita (lettera 1053). Storie diverse,
tra loro irrelate, che però offrono a Ilaria, che scrive questa lettera, la
sensazione di potersi identificare con entrambe, per una sorta di “passo
indietro” che talvolta la realtà chiede anche ai giovani, solitamente spronati
a guardare avanti e a non rinunciatario, non rassegnato e soprattutto non per
cancellare un sogno, ma per quella sorta di esame di realtà che, proprio perché
tiene conto delle condizioni esistenti, evita al sogno di risolversi
nell’illusione e pazientemente pone le premesse per la sua realizzazione.
Questo passaggio non è frequente nei giovani, educati in famiglia alla
soddisfazione immediata dei desideri. Da piccoli, per un fraintendimento
dell’amore che passa più attraverso la gratificazione dei doni che attraverso
l’ascolto e la comunicazione ininterrotta, e da grandicelli, per il timore che
il richiamo al principio di realtà induca comportamenti ribelli o avvii su
percorsi rischiosi. Il risultato è che alle soglie della maturità questi
giovani, trovandosi per la prima volta a fare i conti con la realtà con cui non
si sono mai misurati, cadono in depressione, si abbandonano all’ignavia,
rinunciando prematuramente alla realizzazione dei sogni, passando
repentinamente dall’illusione alla delusione, invece di fare quel “passo
indietro” che permette la ricerca delle condizioni che consentono di tradurre i
sogni in realtà. “Ma ormai non c’è più tempo”, dicono tra di loro quando si
accorgono di aver perso tempo in attesa che qualcuno si accorgesse della loro
virtù e creasse le condizioni favorevoli perché la potessero esprimere. Questo
“principio di passività”, a cui l’educazione che hanno ricevuto li ha abituati,
rende difficile sconfiggere l’inerzia e sostituirla con un’attesa attiva che ha
in vista il sogno, ma anche le condizioni per realizzarlo. Le quali, se non
sono proprio a portata di mano, non sono neppure così lontane da reperire. E il
tempo c’è. Perché, lo ricorda la lettrice: “Abbiamo troppa vita davanti per
pensare che tutta la nostra arte e la nostra carriera vadano definite prima dei
trent’anni.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di Repubblica . 16 settembre
2017 -
Nessun commento:
Posta un commento