Mezzo millennio dopo la
morte, Niccolò
Machiavelli vive ancora. È giudicato maestro di cinismo, di inganno oppure
ispira rispetto, devozione. Durante la stagione elettorale francese il suo nome
è risuonato spesso, come quello di un autore contemporaneo. Il ritratto
ricalcava quello fatto da Nietzsche: “pensiero forte, difficile, duro,
pericoloso, un ritmo galoppante, e un buon umore indiavolato”. Un carattere di
cui alcuni tratti sono stati trasferiti, da commentatori sbrigativi, ignari, al
neo presidente Emmanuel Macron. Non per stabilire una somiglianza. Per carità! Nessuno
ha osato. <non si è andati oltre la battuta, il pettegolezzo politico e
mediatico. E là si è rimasti. Ridotto a un aggettivo (“machiavellico) come
accade da secoli, all’autore del “Principe” è stata attribuita la sentenza mai
scritta secondo la quale il fine giustifica i mezzi. E questo vale per la
ragion di Stato, espressione mai usata alla lettera dallo scrittore fiorentino,
anche se la nozione lo riguarda perché designa l’imperativa difesa dello Stato.
Il suo nome intatto, non ridotto a un aggettivo, è stato invece un riferimento
rispettoso. E tale è rimasta l’intramontabile ricorso ai suoi principi
riguardanti la conquista e soprattutto la difesa del potere. Il nesso, abusivo, tra il remoto filosofo e il neo presidente francese era dovuto alla
tesi su Machiavelli presentata da Macron all’Università di Nanterre, quando
scriveva anche romanzi, studiava filosofia, imparava a suonare il pianoforte,
si interessava all’economia e alla finanza, non sapendo quale strada imboccare.
Poi, per caso o per virtù, il ragazzo prodigio di Amiens, frastornato dai
propri talenti, diventato un giovane uomo ha saputo approfittare della
“fortuna”, come si insegna nel “Principe”. E ha puntato sul potere. L’ha
conquistato non con l’astuzia e il cinismo definiti “machiavellici”, ma
piuttosto con i veri suggerimenti di Machiavelli. È stato il primo della
classe, di sempre. Non so se gli servirà come capo dello Stato. Al risveglio dell’interesse (mai del tutto spento) per il fiorentino ha contribuito
Patrik Boucheron, uno storico, professore al Collège de France, specialista del
Medio Evo e del Rinascimento italiani. Una delle ultime opere di Boucheron si
trova in una collezione di eleganti e smilzi libri in cui figurano stampate
conversazioni radiofoniche di specialisti di Montaigne, Baudelaire e Proust.
Opere adeguate a chi vuol leggere in vacanza, sotto gli ombrelloni o nelle
baite alpine. Le trasmissioni alla radio di Boucheron (pubblicate dalle
edizioni Eqyateurs France Inter) sono diventate un volume con il titolo “Un été
avec Machiavel”. Un saggio scritto con passione e rigore storico. Boucheron ama
il suo eroe. Il quale è finito subito nella cronaca politica. Un altro volume,
anch’esso giudicato “elettorale” da chi ne contesta il contenuto, troneggia
ancora nelle librerie accanto a quello dedicato all’autore del “Principe”, Il
suo titolo, “Histoire Mondiale de la France” (edit. Seuil), non è vacanziero.
Conta ottocento pagine in cui sono raccolte centoquarantasei cronache (di non
più di quattro pagine ciascuna) scritte da centoventidue autori, il cui lavoro
è stato coordinato da Patrick Boucher, lo stesso storico di “Un été avec
Machiavel. Della grande antologia sono state vendute più di centomila copie mei
mesi elettorali. L’opera ha suscitato la collera degli storici tradizionali che
l’hanno vista come un’iniziativa politica: una reazione alla dibattuta idea di
identità nazionale e all’ondata populista abbattutasi anche sul mondo della
cultura. Le centoquarantasei date raccontate nelle altrettante cronache non
sono tutte quelle che si insegnano a scuola. E così i personaggi. Non tutte le
date e i personaggi sono francesi. Invece di dedicarsi alla vittoria di Carlo
Martello sugli arabi, nel 732, ci si sofferma sul saccheggio dei musulmani nel 719
a Perpignan; Vercingetoringe è evocato nel 1828 quando è recuperato come un
antenato della nazione francese; de Gaulle non è visto a Londra nel ’40, ma a
Brazzaville dove fa rivivere la Francia libera in contrapposizione alla
metropoli occupata dai tedeschi; Coco Chanel, Franz Fanon, Simone de Beauvoir
tolgono spazio a Giovanna d’Arco e a Napoleone. L’obiettivo è di uscire dalla
stori tradizionale, chiamata “romanzo nazionale”, e dimostrare che la Francia
ha sempre vissuto in risonanza con il resto del mondo. Per quelle date insolite
e quei personaggi, che non ti aspetteresti di trovare, l’opera merita
attenzione. È una spallata alla storia tradizionale.
Bernardo Valli – Dentro e Fuori – L’Espresso – 10 settembre
2017 -
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