“Ehi, La Bolletta
Dell’Acqua è di soli
11 euro!”, sorrido al mio compagno aprendo le lettere che si sono accumulate
sulla mia scrivania dopo un lungo viaggio di lavoro. Nascondo veloce in un
cassetto una lettera che contiene la realizzazione del mestiere che sognavo da
bambina: la scrittrice. Di quello volevo gioire, anzi brindare, ma non posso,
allora mando giù non il dolore, ma la felicità: mi accorgo che il groppo in
gola è lo stesso. Va quasi sempre così da quando mi sono trovata ad avere più
successo professionale del mio compagno – un uomo meraviglioso, dolcissimo,
pieno di talento, ma che ancora deve trovare la sua strada. Da quando di fronte
alle mie prime soddisfazioni, i miei primi guadagni, i primi riconoscimenti
pubblici le cose tra noi hanno iniziato a scricchiolare, poi a precipitare, per
finire nella regola del silenzio. Prima di tornare a casa, quel venerdì sera,
gli avevo proposto un aperitivo in un locale che mi piace lungo l’Arno. Mi era
sembrato un bel pensiero per ritrovarci dopo due settimane di distanza, un
momento solo per noi, per guardarci negli occhi, per raccontarci finalmente.
Fino a quando, dopo un’ora di muso lungo, lui è sbottato in un “tanto io in un
posto del genere non ti potrei mai invitare con quello che guadagno”. Non avevo
mai pensato a quell’alto tradimento del codice maschile finché non l’ho
vissuto: una donna che guadagna più del suo uomo. E forse non è neppure una
questione di stipendio. È l’anomalia di una donna che è centrata, ovvero che ha
trovato il suo posto nel mondo indipendentemente dall’amore – che on manca mai
– per il proprio uomo, di una donna che può permettersi di offrirgli un
aperitivo. Uomini che pubblicamente giureranno fino alla morte che una donna
merita di essere indipendente, pagata e riconosciuta quanto loro. Quando poi
accade, invece, pare diserzione al ruolo millenario della donna che per vivere
ha bisogno di òprp. E so di non essere l’unica: siamo in tane, a ogni livello,
a vivere in solitudine la colpa di essere donne libere, realizzate accanto a
uomini apparentemente forti, ma in realtà fragili, non risolti, che avrebbero
bisogno di ammettere la loro debolezza per essere amati così come sono. In
passato ci sono stati uomini che mi hanno offerto cene o un weekend e non mi
sono mai sentita sminuita, semplicemente amata. Perché non può accadere
l’inverso, se è una donna a farlo per amore? Ne ho parlato con i miei amici
maschi e la risposta è stata: “devi capirlo, immagina come si sente a starti
vicino”. Non serve immaginare: fino a poco tempo fa quella precarietà
professionale era di entrambi. Eravamo uniti nelle frustrazioni, compagni di
lotta, indecisi tra un mobile Ikea o un pranzo al mare. Solo un amico ha avuto
l’onestà di fare i conti con la situazione economica del 2017, prima che con il
suo stipendio, e mi ha detto: “Non vedo perché dovrei sentirmi sminuito dalla
stabilità economica della mia fidanzata, se io non ce l’ho. Almeno abbiamo uno
stipendio in due, possiamo fare dei progetti”. Nella costruzione di un amore
non ci sono né credito né debito. In Jugoslavia c’è un proverbio. “non è
questione di fortuna, ma di fatica”. Ho lottato per ottenere quel che ho
raggiunto, la mia piccola stabilità. Quindi ni, non mi sento “fortunata”: non
ho vinto alla lotteria. Come ho avuto un compagno di sventura, mi manca
infinitamente un compagno di ventura. Ora quello che vorrei condividere quando
torno a casa non è una bolletta dell’acqua, ma la gioia di avercela fatta in
due, perché conviviamo, cioè dividiamo insieme la vita, non le spese. Invece ho
iniziato a non dire per non ferire. Ma so che la felicità non può essere
rimandata, ha una data di scadenza come lo yogurt o l’amore: vanno consumati,
vanno vissuti,
Andrea Marcolongo – Opinioni - Donna di La Repubblica – 16 settembre 2017 -
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