I Brand Spopolano perché incarnano lo spirito dei
tempi. E nessuno resiste al loro fascino.
Il primo ministro russo Dimitrij Medvedes, per esempio, nutre
un’irrefrenabile passione per le Nike colorate, in particolare quelle delle
tinte psichedeliche, divenute così bersaglio simbolico degli ultimi cortei di
protesta (come sempre repressi con la violenza) svoltosi a Mosca e in altre
città. Alle calzature fashion i manifestanti, chiamati a raccolta dal blogger
anticorruzione Alexei Navalny, hanno contrapposto le “normali “scarpe sportive:
anzi ne hanno fatto un simbolo di dissenso, legandosele al collo e ai lampioni.
Le scarpe comuni e abituali della Generazione P (cresciuta sotto la
“democrazia” putiniana, e senza grandi prospettive di futuro) contro le sneaker
griffate di un potere politico famelico. A partire, per l’appunto, da Medvedv,
di cui il coraggioso Navalny ha documentato l’accumulazione illecita,
attraverso una fondazione filantropica, di ricchezze: che annoverano un casale
in Toscana e una costellazione di ville, tra le quali una con un lago pieno di
anatre. Ecco il perché delle paperelle di plastica sventolate dai partecipanti
ai cortei, quale secondo emblema della battaglia per la moralizzazione della
classe dirigente. Stessa funzione ha, in Turchia, la minigonna e la maglietta
no logo (con la scritta Hew)
indossata al processo da Gokhan Guclu, l’ex militare accusato di avere
partecipato al golpe conto Erdogan. Identifica anche i dissidenti democratici
che protestano contro l’autocrate (il semplice possesso dell’indumento, nella
Turchia della cieca e furiosa repressione, giustifica l’arresto). Ogni
mobilitazione politica ha bisogno di simboli e rappresentazioni. Vale ancora di
più oggi che i moti di protesta si sviluppano in maniera spontanea, senza
partiti o sindacati alle spalle, e come reazione indignata alla pessima
gestione delle crisi economiche, e alle malversazioni dei potenti. Nell’età
della democrazia post-rappresentativa, del tramonto delle ideologie
novecentesche e del ritorno della politica dell’identità, i movimenti di
opposizione scelgono come emblemi di oggetti a portata di mano (o di piedi come
in Russia). Accade anche durante la madre di tutte le rivoluzioni che ha
inaugurato la modernità in Occidente, quella francese del 1789, dove vestiti,
copricapi (il berretto frigio) e colori divennero segni di riconoscimento delle
diverse fazioni e correnti. A differenza dell’antipolitica delle nostre parti,
altrove sono assenti gli imprenditori politici del populismo. Chi scende in
piazza anela a maggiori libertà e pluralismo, guardando alle nostre affaticate
liberali democrazie con grande fascinazione. Così è stato per le manifestazioni
contro il decreto salva-corrotti in Romania, dove i partecipanti hanno formato
l’immagine della bandiera Ue: quale oggetto più quotidiano (e biopolitico) del
proprio corpo? Analogamente accadde per le proteste delle pentole e delle padelle:
nell’Argentina tra fine anni ’90 e inizio 2000, in Brasile e in Venezuela in
occasione della contestata elezione di Maduro. Anche la quieta ed esemplare
democrazia islandese ha ospitato una rivolta delle pentole che, nel gennaio
2009, portò alla caduta del governo, coinvolto nel collasso finanziario della
nazione. Gli ombrelli multicolori sono il simbolo dell’impavida opposizione di
Hong Kong. E (anche) sugli smartphone, e via social, viaggiarono le primavere
arabe. Oggetti di uso comune, insomma, per tentare di raggiungere la condizione
(tra le più difficili malauguratamente) di Paesi normali. E chissà che, prima o
poi, diventi tale anche il drone, come quello di cui si è avvalso Navalny per
documentare il patrimonio indebitamente accumulato da Medvedev.
Massimiliano Panarari – Opinioni – Donna di La Repubblica – 9
settembre 2017 -
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