Quando la storia si ripete diventa
caricatura. Ma quando a ripetersi è la caricatura, diventa tragedia. Fino a
pochi anni fa, una marcia come quella organizzata dai suprematisti bianchi il
12 agosto a Charlottesville, in Virginia, con simboli del Ku Klux Klan, slogan
come blood and soil e fiaccole accese, non sarebbe stata che la grottesca
parodia di un mondo scomparso, un rigurgito
nostalgico. Più o meno come la surreale manifestazione dei nazisti dell’Illinois
in The Blues Brothers, l’indimenticabile favola rock di John Landis. Pochi
e ridicoli idioti che, nella Chicago di fine anni Settanta, continuano a
prendere ordini da un pirla che si fa chiamare Obergruppenführer, con un nome
da SS. E che i dioscuri del soul, John Belushi e Dan Aykroyd, liquidano come la
scheggia di un passato irricevibile, ma su cui è possibile scherzare, proprio
perché è sepolto per sempre. Li investono con l’auto ma soprattutto li
seppelliscono sotto una risata. Invece in Virginia è andata al contrario. A
essere investito e ucciso è stato un manifestante antisuprematista. E la risata
si è trasformata in un incubo delirante. A base di emblemi nazi, croci
uncinate, e grida di Heil Trump. Con
l’effetto di far tornare l’America indietro di cinquant’anni, ai tempi delle
lotte contro la segregazione razziale. E forse ancor più lontano nel tempo,
visto che i bianchi protestavano contro la rimozione di una statua del generale
schiavista Robert E. Lee, comandante sudista nella guerra civile. La differenza
è che ai tempi del Blues Brothers a capo degli Usa c’era il futuro Nobel per la
pace Jimmy Carter. Mentre questa è l’America di Donald Trump, eletto con i voti
dei suprematisti. Che adesso presentano il conto.
Marino Niola – Miti D’Oggi – Il Venerdì di La Repubblica – 25
agosto 2017 -
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