A intervalli regolari
rispunta la proposta di anticipare di un anno, a cinque anni, l’ingresso dei
bambini nella scuola primaria. E’ una specie di ossessione per la ministra
Stefania Giannini, la quale condivide con molti suoi predecessori la pericolosa
ambizione di passare alla storia con una “riforma epocale” del sistema scolastico. Ma l’ipotesi è
apprezzata e appoggiata da molti altri illustri opinionisti, in ultimo Ricardo
Franco Levi, sulle colonne del Corriere,
con molti argomenti in apparenza di buon senso. Una volta preso atto che
l’Italia va accumulando un ritardo grave sui livelli di scolarità nei confronti
dei Paesi ricchi e non soltanto, tanto vale giocare d’anticipo, consegnando ai
nostri figli un anno di vantaggio sui coetanei di altri Paesi. Si tratta di una
soluzione semplice come l’uovo di Colombo, comoda perché non comporta
investimenti – è la classica riforma a
costo zero – e popolare, perché consente ai genitori di parcheggiare
prima i figli a scuola, vista la cronica insufficienza di posti delle materne. Peccato
che, al pari di altre soluzioni facili, comode e popolari, si tratti di una
follia, potenzialmente catastrofica per la salute mentale dei bambini. Montagne
di studi certificano che anticipare l’età scolastica procura ai bambini assai
più danni che vantaggi in termini di stress e di ritardi nell’apprendimento. Del resto, il confronto con il resto d’Europa è indicativo.
L’Italia è già uno dei Paesi dove la scuola comincia prima, anche a cinque anni
e mezzo, come in Grecia o a Cipro. Curiosamente queste tre nazioni sono anche
le prime in Europa per abbandono scolastico, per percentuale di giovani fra i
15 e 29 anni che non lavorano e non studiano, e le ultime per aumento di
laureati. All’opposto, da anni le classifiche mondiali sulla qualità e il
rendimento scolastico vedono in cima i Paesi scandinavi, in particolare
Finlandia, Danimarca e Svezia, dove le primarie non cominciano a cinque anni e
neppure a sei, ma a sette anni compiuti. Si tratta anche, guarda caso, di
nazioni con alto reddito pro capite, maggior mobilità sociale e minore
disoccupazione giovanile. A voler fare una riforma seria, bisognerebbe dunque
copiare il modello scandinavo e ritardare l’ingresso scolastico di un anno, al
tempo stesso raddoppiando o quasi) la percentuale di Pil da investire nella
scuola pubblica. Ma immaginatevi un ministro dell’Istruzione che avanzasse
proposte come queste, finirebbe crocefisso a nove colonne. Alla fine i semplificatori
vinceranno e sarà il disastro finale. Perché l’Italia così ha deciso di morire
: di superficialità.
Curzio Maltese – Contromano – Il Venerdì di Repubblica – 27
febbraio 2015 -
Nessun commento:
Posta un commento