Sto Sfogliando con qualche mese di ritardo “Comunque
anche Leopardi diceva le parolacce” di Giuseppe Antonelli
(..), dove si occupa dell’italiano
scorretto, di quello corretto, di come strafalcioni che ci fanno inorridire
tipo “che io vada” esistessero in autori classici, di come sia lecito usare
talora parole inglesi ma sciocco parlare di “jobs act”, di come professori
troppo puristi correggano i ragazzi che scrivono “passano molte macchine” e
“non facevo i compiti” in “non eseguivo i compiti” (facendo perdere tempo e
senso della lingua parlata ai loro alunni). E di tante altre cose. Non poteva mancare un capitolo sul declino del congiuntivo, e anche nelle canzoni, se
Ligabue canta “può darsi che non sia tutto come lo sognavi tu… stai già pensando
a un altro uomo”. Per un seminario di scrittura tenuto anni fa a Bologna, avevo
proposto una regola per sapere quando si deve usare l’indicativo o il
congiuntivo. Per semplificare le cose e non fare ricorso a termini tecnici come
mondi possibili o atteggiamenti doxastici, diciamo che ci si deve sempre
domandare se stiamo parlando di qualcosa che non riteniamo (e gli altri
ritengono) che esista realmente nel mondo fuori di noi, o parliamo di qualcosa
che esiste nei nostri pensieri, opinioni, credenze ( che potrebbero anche essere sbagliati o non siamo
sicuri che siano giusti). In questi casi dicendo di “sapere” qualcosa
intendiamo che conosciamo qualcosa di reale e quel verbo regge l’indicativo. Se
invece usiamo verbi come “pensare, credere, sperare, temere” (tutti
atteggiamenti mentali) allora si deve usare il congiuntivo. Pertanto si deve
dire “io so che Washington è la capitaòe degli Usa” e “io spero che la mia
amata ritorni”, e “io credo Sydney sia la capitale dell’Australia”. Vi Sarete
Accorti che l’ultima credenza è sbagliata perché la capitale dell’Australia è
Camberra. Quando me ne sia reso conto, potrò allora legittimamente dire
“credevo che Sydney fosse la capitale dell’Australia”(..). Eppure C’E’ Un Caso in cui, riferendoci a un mondo chiaramente irreale, si deve usare
l’indicativo. E’ il caso dei riferimenti a situazioni narrative. Non si dice
“credo che Watson fosse l’amico di Sherlock Holmes” (salvo che uno non ricordi
più racconti di Conan Doyle e voglia dimostrare la sua incertezza). Si dice
invece “so che Watson era l’amico di Sherlock Holmes”. E questo perché
nell’immergersi nei mondi narrativi si sospende l’incredulità e li si accetta
come se fossero mondi reali. E perché, in fondo, nel dire che si sa che Warson
era l’amico di Holmes, ci si riferisce in effetti a un aspetto del mondo reale
e cioè a quanto ha realmente scritto Conan Doyle, dove si ritiene indiscutibile
che Watson sia davvero l’amico di Holmes. Ma perché ho scritto “si ritiene
indiscutibile…che sia”? Se è indiscutibile e accettato da tutti, perché ho
usato il congiuntivo? Perché “indiscutibile” riguarda pur sempre un
atteggiamento mentale e si presume che il punto vada (congiuntivo) ancora
discusso.
Umberto Eco
– La bustina di Minerva – www.lespresso.it
– L’Espresso – 12 marzo 2015
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