Dodici anni fa Roma mi
ha fatto sentire una piccola barbara. Avevo 10 anni e il compito estivo più
importante era scrivere un diario di viaggio delle proprie vacanze. Andammo a
Roma e convinsi i grandi a fare i turisti, a vedere i monumenti, un giro
classico, da raccontare. Sui gradini di Trinità dei Monti, ricordo che scattai
due foto, poi abbassai la Kodak gialla che mi faceva sentire tanto adulta, e
rimasi a guardare in silenzio perché era bello, tutto quanto, bello e grande
quanto io ero piccola. Rivedo quella prospettiva nello schermo della
televisione, nelle riprese di uno smartphone, uno sguardo prestato alla
moltitudine di utenti, e vedo fumogeni, masse urlanti e bottiglie di birra
nella Barcaccia del Bernini. Lo speaker del telegiornale dice Bernini e poi
dice Villa Borghese e la mia mente corre subito alle mani di Ade affondate
nella carne di Persefone, marmo bianco reso vivo dal genio e dal lavoro . Roma
di marmo vivo, Roma ancora capitale, anche in questo tempo che costruisce il
potere non con marmo e pietra, ma con acciaio, vetro e circuiti. Roma capitale
e simbolo, nel mirino del terrorismo, nelle voci dei cortei, nei flash
forsennati dei turisti. Perché se prendi Roma, prendi tanto. Non tutto, non
più, ma sempre tanto. E’ per questo, che quella massa urlante ha assediato
piazza di Spagna? Perché l’essere umano non sarà mai all’altezza dei suoi
simboli? Perché non possiamo accettare che quello che costruiamo ci sopravvivrà?
(..) Il ratto di Roma è tradizione secolare, a quanto pare. C’è sempre una
nuova specie di barbarie pronta a riversarsi sulla Città Eterna. Nemmeno noi
italiani usiamo più riverenza, a questa
Roma immensa e ferita. (..). Voglio chiudere gli occhi e togliere il volume e
convincermi che sì, Roma è ladrona, ma ladra di cuori, la grande bellezza che
riuscì a zittire una bambina di 10 anni che non capiva ma già vedeva, al
secondo sguardo se non al primo, che qualcosa di speciale abitava in quella
città. Hinc sunt leones, scrivevano
gli antichi fra i marmi gloriosi della loro città, liquidando in tre parole i
non-luoghi del mito, gli spazi sulle mappe ancora senza inchiostro. Le fiere
erano ancora lontane.
Una lettrice quasi romana – guravagabonda@mail.com
(..). Questa lettera, che per ragioni di spazio con vero
dolore in parte ho dovuto tagliare, non condanna nessuno a proposito dei fatti
vandalici a Roma e non chiede risarcimenti a nessuno. Chi la scrive si sente,
al pari dei tifosi che hanno danneggiato la fontana del Bernini, una “piccola
barbara”, forse perché dopo l’incanto infantile, al pari dei barbari, non si è
più accorta della bellezza di Roma. Quella che i “barbari” giunti dall’Olanda
hanno paradossalmente fatto riscoprire, risvegliando le coscienze assopite dei
romani e degli italiani che hanno visto a più riprese Roma sfregiata dagli
scandali delle mafie, dalla corruzione e dalle connivenze politiche. (..).
Temiamo l’Isis, giustamente, e non abbiamo alcun timore del livello bassissimo
della nostra cultura storica, letteraria, artistica che lascia indifese le
opere d’arte, di cui la gran parte della gente viene a sapere che sono tali
solo quando la tv la informa che sono state danneggiate, e la cosa non la turba
granché. Ma se è vero che solo la cultura può difendere Roma e più in generale
le bellezze dell’Italia, se la nostra cultura resta quella dello stadio o della
tv, non abbiamo più speranze e neppure gli occhi incantati di una bambina che
abbassa la sua Kodak gialla per non offendere la bellezza.
umbertogalimberti@repubblica.it
– Donna di Repubblica – 14 marzo 2015 -
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