Premetto che non sono ebreo, ma per dodici anni ho studiato
molti testi sull’ebraismo sul quale ho pubblicato quattro saggi ricevendo anche
un premio letterario. Sono rimasto sorpreso leggendo che lei accredita al
cristianesimo non solo l’ottimismo della speranza ma addirittura l’aver
inaugurato una nuova concezione del tempo: il tempo lineare, cioè non ciclico.
Ma gli ebrei, mille anni prima della venuta di Cristo, erano stati i primi ad
affrontare, diffusamente nel Talmud, che il tempo non era ciclico come
sostenevano tutte le altre culture antiche, ma lineare.(..). La storicità del
processo intergenerazionale è stata l’intuizione che ha dato forza alla
speranza ebraica. Sono qui le origini lontane di quel pacifismo universale al
quale la cultura occidentale, da Dante a Kant, ha tentato di avvicinarsi. (..).
Sono questi i valori più alti che l’ebraismo ha donato all’umanità.(..). Ma, al
suo livello culturale, ritengo sarebbe stato doveroso informare i suoi lettori
che la primogenitura è ebraica.
Mario Moncada – mm@gestel.st
Giustamente lei dice che il tempo che chiama “lineare” non
apparteneva a nessuna delle culture primitive, neppure alla cultura greca che
fa nascere, crescere, generare e morire, per poi inaugurare altri cicli che
scandiscono il succedersi delle generazioni. La cultura giudaica inaugura un
tempo che io non chiamerei “lineare”, cioè simile a una freccia lanciata nel
futuro a prescindere da qualsiasi scopo da raggiungere e da qualsiasi disegno.
Questo è piuttosto il tempo della tecnica, che non tende a uno scopo, non
promuove un senso, non apre scenari di salvezza, non redime, non svela la
verità, ma semplicemente “funziona”, e per giunta non in vista del “progresso”
delle condizioni di vita dell’umanità”, ma unicamente, come già avvertiva
Pasolini, dello “sviluppo”, che è un aumento quantitativo di possibilità, a
prescindere da qualsiasi scopo. (..). Quando il tempo è investito da un disegno
acquista un senso e diventa “storia”, che dunque è sempre e solo “storia
sacra”. Il cristianesimo ha proseguito questa visione escatologica del tempo,
inaugurato dalla cultura giudaica, e ha avviato la sua “storia”. Ma lei non
contrapponga il cristianesimo all’ebraismo per rivendicare la “primogenitura”
del primo nei confronti del secondo, cosa peraltro assodata al punto che non
aveva torta Nietzsche a ritenere il cristianesimo null’altro che un’eresia
ebraica. Ecitiamo di contrapporre le religioni tra loro o di affermare il primato
dell’una rispetto alle altre, perché già troppe guerre, e per giunta le più
terribili, si sono scatenate nel nome di Dio. Ora che l’Occidente, generato
dalla cultura giudaico-cristiana, si è laicizzato e sempre meno sono coloro che
prestano fede alle promesse delle due religioni, siamo di nuovo passati dal
tempo escatologico, garantito da una promessa di salvezza, al tempo lineare che
altro non garantisce se non lo sviluppo di una tecnica a-finalizzata. (..).
Karl Jaspers, in uno dei colloqui che cinquant’anni fa ebbi con lui, un giorno
mi disse: “Non è detto che l’umanità progredisca sempre, può anche accadere che
regredisca”. Ma siccome noi occidentali, che per il solo fatto di essere ancora
tutti giudaico-cristiani (non religiosamente, ma culturalmente) siamo sempre e
ancora in cerca di una speranza, dovremmo chiederci: dove la troviamo, questa
speranza, se Dio è morto perché non fa più storia? Qui Nietzsche ci consegna un
barlume che proietta una luce tenue sul futuro, quando dice: “L’uomo è un animale
non ancora stabilizzato”. Affidiamoci dunque a questa ipotesi.
umbertogalimberti@repubblica.it
– Donna di Repubblica – 28 febbraio 2015
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