Questa volta non c’era
un imprecisato, lontano deserto a far da sfondo alle decapitazioni dell’Is.
Questa volta c’era il “mare nostrum”. E l’improvviso cambio di fondale ha
evocato, tutta insieme, la storia dei rapporti tra l’Italia e la Libia. Abbiamo
subito calcolato le distanze per scoprire che da Sirte a Gela ci sono appena 420 chilometri e
a Lampedusa ancora meno. Distanza lunghissima, sufficiente a permettere a
migliaia di persone di crepare – da ormai molti anni – sui barconi; persino di
freddo. Ma anche distanza brevissima se percorsa da un missile Scud, come
quelli che Gheddafi lanciò nel 1986 (così, per fare la voce grossa). Se invece
si passa dal cielo, attraversare quel tratto di mare è un attimo, come mostrano
i bombardamenti americani di Tripoli nel 1986 e quelli francesi (che oggi
appaiono molto sospetti) del 2011. Nell’antichità, dice il nostro mito, quel
mare veniva coraggiosamente attraversato da Enea, che la Didone cercava invano
di trattenere a Cartagine .(..). Ma gli scienziati italiani del Risorgimento
trassero la conclusione che la razza italiana del sud, da allora, si fosse un
pò troppo mescolata con quella africana e non fosse per nulla ariana. (..). Ma
“Mare Nostrum” ha soprattutto un innegabile sapore coloniale. Si cominciò nel
1911 quando Giolitti spedì in Libia centomila soldati perché anche l’Italia
aveva diritto al suo posto al sole (e urgente bisogno di sbarazzarsi di mezzo
milione di disoccupati) e scalpitava per esercitare la sua “talassocrazia”. E
così continuò Mussolini, Balbo, Graziani, Badoglio – tra canzonette e
impiccagioni di ribelli. E si previde (se il fascismo avesse vinto la guerra)
che la patria avrebbe cambiato i confini annettendo la costa nordafricana in
una “Grande Italia” tutta bagnata dal Mediterraneo, “lago italiano”, con tanto
di leggi razziali (1938) che comunque sancivano l’inferiorità della nuova
popolazione annettenda.Tutto ciò per fortuna, finì con l’armistizio del
settembre 1943, ma ci si ricorda – ah, lo stupido! – che meno di due mesi prima
Mussolini aveva promesso di fermare “sul bagnasciuga” l’esercito alleato
partito dal NordAfrica. Seguì poi a partire dal 1969, la lunghissima era
gheddafiana, in cui i governi di Libia e Italia, tra ricatti, ipocrisie,
voltafaccia, corruzione, indecenze petrolifere, diedero il paggio di sé, per
giungere ora, all’inizio del post gheddafismo, all’ecatombe dei migranti, alle
esecuzioni sulla spiaggia e all’Is “alle porte”. Deve essere stato il ricordo
della nostra storia a far tramontare rapidamente la voglia di intervento
militare in Libia: l’Italia, davvero, non ha la moralità necessaria per
proporlo o gestirlo. Se invece facesse qualcosa per sostenere i migranti,
proteggerli, accoglierli, farebbe, probabilmente, l’unica cosa giusta da
duemila anni a questa parte. Ammettendo, per cominciare, che quel mare non è nostrum.
Enrico Deaglio – Annali – Il Venerdì di Repubblica – 27
febbraio 2015 -
Nessun commento:
Posta un commento