Il problema non è
quello ancestrale se fidarsi dei robot, è quello di fidarsi di chi li
programma. Dall’epopea dei fratelli Wright siamo arrivati ai droni, da quella dei
fratelli Lumière alla notte degli Oscar, dai fratelli della Misericordia agli
strapuntini ospedalieri. E ci preoccupiamo ancora? Dall’intelligenza artificiale ci
aspettiamo con timore sentimenti artificiali, senza afferrare che quelli sono
già quotidianamente i nostri. Ci aspettiamo la condanna a una vita artificiale,
cioè quella che viviamo tutti i giorni, noi robot 1.0, che nelle loro
possibilità non hanno nemmeno un volgare pulsante per bloccarsi nei momenti
difficili e aspettare in stand-by il trionfo ineluttabile di tempi migliori. I
robot soffrono, ma imperturbabili come veri signori, aspettano il loro momento.
Che poi è il futuro.
maxbucchi@yahoo.it –
Il Venerdì di Repubblica – 6 marzo 2015
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