La notizia su un notissimo quotidiano: “ Prima la Francia,
ora la Danimarca. Il terrorismo di matrice islamica attacca di nuovo la libertà
di parola”. C’è qualcosa che non quadra, ma nessuno se ne accorge. Allora leggiamo
la sentenza della Cassazione del 27 marzo 1992, riguardo all’art.724 del Codice
Penale: “ Assurdo e fuori luogo è di voler ricondurre la bestemmia alla
manifestazione del pensiero e alla libertà costituzionalmente garantita di tale manifestazione (sia sotto
il profilo dell’art. 21 che dell’art.19 che, del primo, costituisce specifica
enunciazione). (..)Ed è pur superfluo il rilievo che, comunque, il diritto di
libera manifestazione del pensiero trova il suo limite proprio nel divieto
delle manifestazioni contrarie al buon costume (art.21 ult. comma,
Costituzione)”.(..).Il titolo avrebbe dovuto essere: “Il terrorismo di matrice
islamica attacca di nuovo la libertà di blasfemia”. E’ come se il comico
Alessandro Siani, criticato per la battuta infelice sul bambino obeso a
Sanremo, anziché scusarsi come ha fatto, avesse replicato: “ Qualcuno Sta
attaccando la mia libertà di parola”. Detto questo, poicheè viene fuori sempre
una obiezione poco intelligente, mi vedo per l’ennesima volta costretta a
ripetere: alla libertà di blasfemia non si può rispondere con la violenza. Ma
non è superfluo dirlo?
Elisa Merlo – lisamer@tiscali.it
No, non è assolutamente superfluo dire e ripetere che la
violenza non è mai la risposta giusta, neppure quando è motivata da un’offesa
vera o presunta. Questa affermazione viene prima, assolutamente prima di ogni
considerazione relativa non dico all’opportunità, ma soprattutto alla
legittimità, di fare dell’ironia, in ambito religioso, in nome della libertà di
pensiero, di parola e di espressione. E le ragioni sono facilmente intuibili.
La religione è un fenomeno pre-razionale che investe sentimenti ed emozioni
molto radicati in coloro che credono, perché nella religione essi trovano il
fondamento e la radice della propria identità e della propria appartenenza. La
libertà di pensiero, di parola e di espressione sono conquiste che la cultura
occidentale ha guadagnato con grande fatica emancipandosi, con la Rivoluzione
Francese, proprio dalla religione che fino allora aveva governato la vita anche
di noi occidentali.(..). Esserci emancipati dalla religione ed essere approdati
alla laicità della ragione, a cui appartiene la libertà di pensiero, di parola
e di espressione, io lo considero un valore, perché in ambito razionale ci si
può sempre intendere, i conflitti si possono comporre, le distanze ridurre.
Cosa che invece non può avvenire se il confronto ha luogo in quell’ambito
pre-razionale tipico delle religioni, perché li le differenze non sono “di
posizione”, ma “antropologiche”, quindi non conoscono mediazioni perché in
gioco ci sono le figure pre-razionali dell’identità e dell’appartenenza, con
tutto il corredo dei simboli che le consacrano.(..) come la libertà di ognuno
di noi ha il suo limite nel diritto all’esercizio della libertà dell’altro,
così la nostra libertà di pensiero, di parola e di espressione, in cui
riconosciamo uno dei calori della nostra identità occidentale, non può in alcun
modo offendere i sentimenti religiosi in cui altre culture riconoscono la loro
identità e la loro appartenenza. Altrimenti anche il nostro laicismo che ci ha
emancipato da quello sfondo pre-razionale proprio delle religioni, si colora di
fondamentalismo.
umbertogalimberti@repubblica.it
– Donna di Repubblica – 21 marzo 2015 -
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