Per un po’ di rigore in
meno
Tutti i governi, da
Berlusconi a Renzi, hanno dichiarato di voler ridurre il debito pubblico.
Nessuno ci è riuscito.
Perché l’austerità non basta. Ora anche l’Europa sembra essersi accorta che
l’unica soluzione è la ripresa
Non c’è governo, da quando l’Occidente è entrato nel lungo
tunnel della crisi, che non abbia dichiarato la sua ferma volontà di riportare
sotto controllo il rapporto debito-pil. Solo tre anni fa, per esempio, Silvio
Berlusconi, sempre esagerato, prometteva che entro il 2012 sarebbe riuscito a
raggiungere quota 100. Bum! Un anno dopo toccò a Giulio Tremonti fissare nero
su bianco l’obiettivo 117. Niente da fare. E lo stesso è successo con Mario
Monti, che scommise su un fatidico 118; e dopo di lui è toccato a Enrico Letta
che non ha rispettato un più prudente 129. Matteo Renzi, invece, ha puntato
tutto sulla necessitò – che dico, la certezza – di convincere Bruxelles che
quei parametri sono, se non stupidi, almeno da ridiscutere. E infatti nel
frattempo, zitto zitto, è arrivato alla cifra record di 135,2. Per ogni cento
euro che produce, il Paese ne ha 135 di debiti. Virgola due.
Eppure, nonostante la defaillance, il governatore della Banca
d’Italia non ha infierito più di tanto nelle sue Considerazioni finali di fine
maggio. E’ vero, ha scandito che “la riduzione del rapporto tra debito e
prodotto resta la sfida ineludibile per il nostro paese”, ma punto e basta, lì
s’è fermato. In singolare sintonia, qualche giorno dopo, il governo dell’Ue ha
evitato pericolosi “warning” che avrebbero portato dritto dritto all’apertura
di una procedura di infrazione, e rinunciato a pretendere una manovra
straordinaria (pur consigliata per ben nove miliardi) per correggere i
parametri concordati e non rispettati. Niente. Uno scappellotto e basta. Perché
dunque tanta benevolenza? Anche Visco e
Barroso folgorati sulla via di Matteo?
L’impressione Generale è che l’Europa sia pronta alla svolta.
Insomma che Berlino o Parigi si siano convinte che così non si può andare
avanti, e non solo perché alle porte premono Grillo, Farage, Marine Le Pen; ma
perché l’austerità non basta più, e non si può continuare a spremere cittadini
e contribuenti, a costo di guai ancora peggiori. La controprova? Nonostante
tagli drastici e sacrifici pesanti abbiano scanditi i peggiori anni della
nostra vita, gli ultimi, il debito pubblico ha sfondato i 2mila miliardi, e se
l’Ue chiuse un occhio, è anche perché i tassi di interesse sul debito si sono
più che dimezzati. Ma questo non ha impedito più gravi conseguenze: l’Italia ha
bruciato un milioni di posti, la disoccupazione è raddoppiata in sei anni e i
giovani che non hanno un lavoro sono il 46 per cento, quasi uno su due. Peggio
di una guerra. Come se non bastasse, la situazione è aggravata dalla miscela
esplosiva di crescita zero e prezzi in calo, una deflazione – così la chiamano
gli economisti – che segnala stagnazione e assenza di consumi e investimenti.
Fermi.
Se Questo E’ Il Quadro, allora si comprende perché Renzi,
forte di un imprevedibile successo elettorale, sia così sicuro di convincere i
partner europei a mollare lacci troppo stretti, a rinviare obiettivi di
pareggio di bilancio (che l’Italia ha temerariamente scolpito nella
Costituzione!) e di riduzione del debito (peraltro messa a rischio dai nuovi
impegni di spesa) in cambio di riforme e privatizzazioni. Del resto, in questa
situazione è impensabile rispettare i tempi drastici imposti dal fiscal
compact. Nemmeno correndo alla velocità di cui si vanta il premier.
Non sarà facile. La lunga crisi ha appesantito i conti
pubblici di tutti i paesi con le conseguenze che scontiamo, e dunque non si può
cancellare l’obiettivo primario di un equilibrio di bilancio. Ma la missione è
tanto ardua da spingere un’economista prudente e attenta come Lucrezia Reichin
a suggerire addirittura la strada dolorosa della ristrutturazione del debito ,
cioè rinviare il pagamento degli interessi ai possessori di titoli di Stato.
D’altronde, al punto in cui siamo solo la ripresa economica può garantire lunga
vita al governo Renzi e, soprattutto, metterci al riparo da altre crisi:
“Crescita economica ed equilibrio del bilancio pubblico non possono che essere
perseguiti congiuntamente”, ha ammonito Visco. Ma per aggiungere subito dopo:
“La via della ripresa non solo economica non sarà breve né facile”. Ecco,
appunto. Tocca sperare.
Twitter@bmanfellotto
Bruno Manfellotto – L’Espresso – 12 giugno 2014
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