Entriamo in un’era
senza barbari
Nel mondo ormai
globalizzato le varie forme di linguaggio si comprenderanno ovunque. Fino a far
sparire quasi del tutto le differenze. E sono le tecnologie a rendere più breve
il tempo di passaggio da un’epoca all’altra
Come tutte le settimane anche domenica scorsa è uscita,
insieme al “Corriere della sera” la “Lettura”. Questa volta le prime pagine di
quel supplemento erano dedicate ad un solo tema: il “post” come elemento che
classifica l’evoluzione della storia. Un’evoluzione però sostanzialmente a
bassa velocità e a mediocre creatività. E così, tanto per usare qualche
esempio, il post-moderno per quanto riguarda la cultura e le sue varie forme:
il post-comunista, il post-socialista e il neo-liberista – dove “neo” è analogo
al “post” – in politica; il post-illuminismo in filosofia e così via.
Qualche settimana prima “La Repubblica” aveva lanciato e poi
realizzato a Napoli dal 5 all’8 giugno il suo “Festival delle idee”
concentrando i vari dibattiti e incontri con intellettuali di alto livello, italiani e stranieri, sul
tema “Riscrivere il Paese”. Anche in questo caso si trattava di misurarsi con
il futuro ma ad un livello di creatività assai maggiore e un respiro ed una speranza molto più intesi
del “post” e del “neo”.
Riscrivere Comporta innovazioni profonde, nuovi
linguaggi tecnologici e culturali, la nascita di un’epoca nuova che emerge dal
passato che non viene dimenticato ma neppure rivisitato con qualche
aggiornamento. L’approccio al futuro è dunque profondamente diverso tra i due
giornali e le pubbliche opinioni che ciascuno di essi rappresenta e alle quali
dà voce,
Ovviamente io condivido la visione innovativa di “Repubblica”
e l’ho più volte descritta in articoli ed anche in alcuni libri più recenti. In
particolare in quello intitolato “Per l’alto mare aperto” che è una
rivisitazione dell’epoca moderna iniziata secondo me da Michel de Montaigne e
da Descartes e conclusa da Nietzsche, Einstein, Freud, Stravinskji, Picasso e
Matisse.
Personalmente considero “post” e i “neo” come gli scarti
residuali di epoche moribonde la cui morte definitiva ha richiesto un tempo
lungo mentre già fermentano i germogli dell’epoca nascente ancora non visibili
nelle nuove forme di cui sono la semenza. Li ho chiamati contemporanei per
distinguerli dai moderni e in certi casi “nuovi barbari” senza dare in questo
caso alla parola barbaro un significato di selvaggismo ma semplicemente la
traduzione letterale di chi parla un linguaggio nuovo e incomprensibile per chi
ancora è ancorato a quello dell’epoca moribonda. Alessandro Baricco li ha
chiamati nello stesso modo e ha dedicato a questo tema molti libri e
rappresentazioni letterarie.
Debbo Dire Che I Tempi di passaggio da un’epoca all’altra
si sono molto accorciati e ciò dipende soprattutto dalla nuova tecnologia.
Nella storia che conosciamo i passaggi d’epoca avvenivano in tempi assai
lunghi. L’agonia della civiltà cretese-minoica richiese a dir poco duecento
anni; quella egiziana ne richiese almeno trecento; l’Ellade continuò a
sopravvivere per mezzo millennio quando già era politicamente scomparsa ma
ancora pienamente vivente come essenza della Roma repubblicana imperiale.
Il declino di quest’ultima è stato probabilmente il più lungo
di tutti, almeno per quanto riguarda la storia dell’Occidente. La sua decadenza
comincia con la fine degli imperatori. Antonini e Flavi; siamo cioè al primo
secolo dell’era cristiana, ma la definitiva scomparsa dopo una lunghissima
agonia avviene tra il VII e l’VIII secolo del calendario cristiano, cioè con
nascere del medioevo dei Longobardi, dei Celti, dei Franchi, dei Vichinghi.
Otto secoli perché una civiltà dai contorni politici, culturali, religiosi si
sostituisse pienamente ad un’altra: nuovi linguaggi, nuove classi dirigenti,
nuove istituzioni, nuova arte, nuove potenze politiche e militari.
Il mutamento d’epoca che stiamo vivendo sarà sicuramente più
breve ma avrà – tra i tanti che ancora ignoriamo – un altro elemento
profondamente nuovo: sarà un mutamento globale cioè avverrà non più in certe
aree geografiche ma in tutto il pianeta. Le differenze locali resteranno, sia
pure con confini diversi, ma l’essenza dell’epoca nuova sarà la stessa in tutto
il mondo.
Sarà Un Mondo sostanzialmente ecumenico, con
un’economia estesa ovunque, un’attenuazione delle diseguaglianze e un
equilibrio pendolare tra l’alternante dominanza dei due valori
dell’individualità e della socialità con nuove istituzioni che dovranno
rappresentarli. A quel punto i barbari non saranno più tali poiché le varie
forme di linguaggio saranno comprensibili e traducibili ovunque. La durata di
questa transizione da un’epoca all’altra è cominciata dai primi vent’anni del
ventesimo secolo, quindi dura già da cent’anni. Per il pochissimo che può
valere la previsione e l’esperienza personale, penso che il ventesimo secolo
che stiamo percorrendo sarà ancora dominato dallo squilibrio della transizione
ma i primi lineamenti dell’epoca nuova saranno già visibili anche se
attraversati da tensioni e contraddizioni profonde. Il nuovo e la sua forma
emergeranno probabilmente nel secolo successivo a questo e forse fin dai suoi
inizi. Avrà anche un nome, l’epoca nuova, ma il nome si avrà con il suo
svolgersi, non c’è mai stato un battesimo per le epoche: sono la loro storia, i
loro miti, la loro forma a darglielo e i posteri a conoscerlo. Così è sempre
stato e sempre sarà.
Eugenio Scalfari – L’Espresso – 26 giugno 2014
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