L’Europa può fare a
meno di Londra
Il vero nemico
dell’Unione è il governo britannico. Che rallenta il cammino di tutti agitando
la minaccia di un referendum contro Bruxelles.
Sarebbe ora di non
subire più questo ricatto
Concentrato sulle polemiche contro la linea del rigore
finanziario imposta dalla Germania, il dibattito europeo sta perdendo di vista
che la più seria barriera al processo di unione continentale non è posta da
Berlino ma da Londra. E non nasce certo dal pur clamoroso successo elettorale
dell’Ukip, il partito indipendentista che ha almeno il merito di perseguire esplicitamente
e senza infingimenti il proposito di portare il Regno Unito fuori dall’Ue. No,
il vero e più solido ostacolo sul cammino dell’integrazione europea consiste
nella politica seguita dai pur diversi inquilini che gli elettori britannici
hanno insediato in questi decenni al fatidico numero 10 di Downing Street.
Dall’era di Margaret Thatcher fino a quella di Tony Blair per
giungere all’attuale premierato di David Cameron, c’è una continuità d’azione
della politica di oltre Manica verso l’Europa che continua ad ispirarsi
all’evidente obiettivo di frenare, troncare, sopire ogni tentativo di avanzare
sul terreno di una federazione continentale. Navigatori esperti, gli inglesi si
sono rivelati maestri nel praticare verso l'Europa una regola ben nota a chi va
per mare: è sempre la nave più lenta a determinare la velocità di marcia
dell’intero convoglio. Non c’è passaggio importante nella costruzione europea che
non abbia dovuto fare i conti con le resistenze e le contestazioni del governo
di Sua Maestà pronto a bloccare o a ferocemente condizionare scelte mirate a
costruire istituzioni che potessero somigliare a un embrione di potere
sovranazionale.
Con Il Gabinetto
Cameron questa
strategia sta raggiungendo un nuovo picco estremo che, tuttavia, potrebbe
rivelarsi anche terminale. Lo scorso anno il premier inglese ha ottenuto di far
ridurre in modo consistente gli esborsi del bilancio dell’Unione ma
prevalentemente a carico degli altri paesi dato che il suo continua ad essere
l’unico, almeno fra i più grandi, che riceve da Bruxelles più soldi di quanti
versi alle casse comunitarie. Ora si è impegnato in una crociata contro la
nomina alla presidenza della Commissione di Jean-Claude Junker perché non vuole
consentire che una simile scelta si ispiri all’indicazione uscita dalle urne
europee limitando di conseguenza il potere decisionale del Consiglio dei capi
nazionali. L’arma che ogni volta Londra mette sul tavolo a sostegno delle
proprie posizioni è sempre quella: o ci accontentate o noi facciamo un bel
referendum sull’uscita dall’Unione.
Non si tratta sempre di un ricatto pretestuoso: in effetti,
come mostra il recente successo elettorale dell’Ukip, nelle isole britanniche
l’eurofobia è diffusa. Subdolo è, però, il modo in cui il premier inglese usa
quest’arma. Per rendere più cogente la sua minaccia verso Bruxelles, Cameron ha
escogitato di fissare una scadenza per il troppe volte minacciato referendum
popolare. Ma astutamente prendendosela comoda: se ne parlerà entro il 2017. Nel
frattempo ha notificato a Bruxelles nuove pesanti richieste di deroga agli
obblighi comunitari che se accolte – ha fatto capire potrebbero aiutare un
esito favorevole all’Europa nelle urne referendarie.
C’è Da Chiedersi, a questo punto, che senso abbia per gli
altri paesi dell’Unione stare a questo gioco di Londra accettando di avere in
casa un socio che, protetto da una sorta di statuto specialissimo, continua
però a condizionare con arroganza le scelte altrui. Chi ha davvero a cuore le
sorti della costruzione europea non ha nessuna ragione di temere l’arma
referendaria di Cameron. Anzi, dovrebbe spingerlo ad anticiparne i tempi.
Perché, nel caso gli inglesi decidano di andarsene, la strada federalista
risulterebbe più larga e i conti del bilancio Ue migliori. Mentre, in caso di
voto favorevole all’Unione, gli inquilini di Downing Street finalmente non
avrebbero più la loro tradizionale arma di ricatto da brandire. Ma c’è oggi un
leader europeo deciso a smascherare l’ambiguo “bluff” di Londra? A Matteo Renzi
si apre un’opportunità straordinaria di imprimere una svolta sul cammino
dell’Unione.
Massimo Riva – L’Espresso – 26 giugno 2014 –
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