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domenica 29 giugno 2014

Lo Sapevate Che: L'Antitaliano....



 
Ho le prove, la Rai era diversa

Oggi vorrebbero farcelo dimenticare,
Ma un tempo è esistita una  televisione pubblica che sapeva fare cultura, varietà e informazione di qualità. Malgrado fosse lottizzata. Se volesse, potrebbe ricominciare. Anche subito.

L’Italia è quello strano paese in cui a 35 anni si è ancora troppo giovani per sapere. Mi è capitato spesso di ricevere questo genere di risposte: Non eri ancora nato, non puoi ricordare”. Lo dicono a voce bassa, ma “e quindi non puoi parlare” è la conclusione. Dunque non sarei legittimato a parlare di ciò che non ho personalmente vissuto e questa è una idiozia. Del resto, la mia generazione ha una dimestichezza tale con la tecnologia, da essere in grado di accedere a una vastissima quantità di informazioni che possono restituire un quadro veritiero su quanto è oggetto di studio. Questa breve introduzione è necessaria, considerando ciò che sto per scrivere.
Io Ricordo – E Ho Le Prove – che un tempo è esistita una televisione pubblica che faceva cultura, informazione e varietà. Che faceva queste tre cose sperimentando nuove strade e valorizzando quelle che avevano successo. Una televisione pubblica che si era assunta anche il compito, difficile, di educare i telespettatori all’arte e a un’informazione rigorosa. In televisione trovava spazio, accanto al dibattito politico – molto spesso non erano politici - ,  l’opera, la musica classica, il teatro. Con la consapevolezza che il gusto si può educare e che la televisione, dopo famiglia e scuola, ha un ruolo di primo piano nella formazione dell’individuo, nella creazione delle sue passioni, nella scoperta di nuovi mondi non immediatamente esperibili. Io ricordo – e ho le prove – una televisione pubblica che non è mai stata immune dai condizionamenti politici. La Rai è sempre stata lottizzata, è inutile dirsi che è pratica recente. Tutto questo lo ricordo, anche se c’è chi mi dirà che non ero ancora nato e che non posso sapere.
E così fosse, a me resterebbe la cosa più bella che c’è, ovvero sognare. Sognare una televisione pubblica in ci trovi spazio anche ciò che non ha un immediato riscontro di pubblico, ma che contribuisce alla crescita culturale ed emotiva dello spettatore-cittadino. (…) in prima serata (alle 21,25) su Raiuno torna Dario Fo a recitare “Lu Santo Jullare Francesco”. Dovrei esserne contento. E lo sono. Ma mi chiedo, perché solo a giugno? Non sarebbe forse più giusto partire con una stagione teatrale sulla Rai in prima serata, un appuntamento fisso settimanale, sempre? Mi aspetto qualche solerte funzionario che dica: “Saviano informati, sulla Rai il teatro c’è”. Sì, ma non sui canali più “frequentati” e non nelle fasce orarie più “comode”. Quella di domenica sarà una fantastica eccezione.
Dario Fo e Franca Rame sono due intellettuali preziosissimi e generosi, accanto a loro ci sono drammaturghi che stanno raccontando il nostro paese e che meritano attenzione, Emma Dante, Edoardo Erba, Ascanio Celestini, Marco Paolini, Davide Enia, Mimmo Borelli, Annibale Ruccello, Enzo Moscato, Mario Gelardi, per citarne solo alcuni. Molti di loro scrivono in dialetto, cercando e trovando musicalità che il nostro orecchio ha conosciuto e dimenticato. Eppure il loro teatro non è regionale, ma universale e comprensibile a tutti. Il loro teatro è di tutti. “Sì, ma non ha share”. Sciocchezze. Se si torna a stimolare il pubblico, ormai abituato solo ai frastuoni della politica e a fiction-teleromanzi, la risposta ci sarà. Il trucco dello share regge ancora, ma per quanto? La tv è cambiata, i canali triplicati, eppure i valori dello share non mutano. In tutto il mondo lo share è calcolato a settimana, al mese, a trimestre. Da noi resiste ancora l’estorsione dello share tutti i giorni, arma di ricatto della politica aziendale per smontare o sostenere una trasmissione. Quando verrà abolito il racket-auditel?
Ecco, Io Sogno una televisione pubblica che comprende che i telespettatori sono meglio di quanto chi pianifica i palinsesti creda. Che con la crisi le rendite di posizione sono finite e che il servizio pubblico dovrà guadagnarsi ogni giorno la propria ragion d’essere. Che meritiamo di stare a tavola la sera insieme a Claudio Abbado e Carlos Kleiber che dirigono le loro orchestre. Che meritiamo di vedere “Le cinque rose di Jennifer” di Annibale Ruccello, “La madre” di Mimmo Borelli o, restando in tema, “Italia-Brasile 3 a 2 “ di Davide Enia.
Roberto Saviano – L’Espresso – 26 giugno 2014

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