Ho le prove, la Rai era
diversa
Oggi vorrebbero farcelo
dimenticare,
Ma un tempo è esistita
una televisione pubblica che sapeva fare
cultura, varietà e informazione di qualità. Malgrado fosse lottizzata. Se
volesse, potrebbe ricominciare. Anche subito.
L’Italia è quello strano paese in cui a 35 anni si è ancora
troppo giovani per sapere. Mi è capitato spesso di ricevere questo genere di
risposte: Non eri ancora nato, non puoi ricordare”. Lo dicono a voce bassa, ma
“e quindi non puoi parlare” è la conclusione. Dunque non sarei legittimato a
parlare di ciò che non ho personalmente vissuto e questa è una idiozia. Del
resto, la mia generazione ha una dimestichezza tale con la tecnologia, da
essere in grado di accedere a una vastissima quantità di informazioni che
possono restituire un quadro veritiero su quanto è oggetto di studio. Questa
breve introduzione è necessaria, considerando ciò che sto per scrivere.
Io Ricordo – E Ho Le
Prove – che un tempo
è esistita una televisione pubblica che faceva cultura, informazione e varietà.
Che faceva queste tre cose sperimentando nuove strade e valorizzando quelle che
avevano successo. Una televisione pubblica che si era assunta anche il compito,
difficile, di educare i telespettatori all’arte e a un’informazione rigorosa.
In televisione trovava spazio, accanto al dibattito politico – molto spesso non
erano politici - , l’opera, la musica
classica, il teatro. Con la consapevolezza che il gusto si può educare e che la
televisione, dopo famiglia e scuola, ha un ruolo di primo piano nella
formazione dell’individuo, nella creazione delle sue passioni, nella scoperta
di nuovi mondi non immediatamente esperibili. Io ricordo – e ho le prove – una
televisione pubblica che non è mai stata immune dai condizionamenti politici.
La Rai è sempre stata lottizzata, è inutile dirsi che è pratica recente. Tutto
questo lo ricordo, anche se c’è chi mi dirà che non ero ancora nato e che non
posso sapere.
E così fosse, a me resterebbe la cosa più bella che c’è,
ovvero sognare. Sognare una televisione pubblica in ci trovi spazio anche ciò
che non ha un immediato riscontro di pubblico, ma che contribuisce alla
crescita culturale ed emotiva dello spettatore-cittadino. (…) in prima serata
(alle 21,25) su Raiuno torna Dario Fo a recitare “Lu Santo Jullare Francesco”.
Dovrei esserne contento. E lo sono. Ma mi chiedo, perché solo a giugno? Non
sarebbe forse più giusto partire con una stagione teatrale sulla Rai in prima
serata, un appuntamento fisso settimanale, sempre? Mi aspetto qualche solerte
funzionario che dica: “Saviano informati, sulla Rai il teatro c’è”. Sì, ma non
sui canali più “frequentati” e non nelle fasce orarie più “comode”. Quella di
domenica sarà una fantastica eccezione.
Dario Fo e Franca Rame sono due intellettuali preziosissimi e
generosi, accanto a loro ci sono drammaturghi che stanno raccontando il nostro
paese e che meritano attenzione, Emma Dante, Edoardo Erba, Ascanio Celestini,
Marco Paolini, Davide Enia, Mimmo Borelli, Annibale Ruccello, Enzo Moscato,
Mario Gelardi, per citarne solo alcuni. Molti di loro scrivono in dialetto,
cercando e trovando musicalità che il nostro orecchio ha conosciuto e
dimenticato. Eppure il loro teatro non è regionale, ma universale e
comprensibile a tutti. Il loro teatro è di tutti. “Sì, ma non ha share”.
Sciocchezze. Se si torna a stimolare il pubblico, ormai abituato solo ai
frastuoni della politica e a fiction-teleromanzi, la risposta ci sarà. Il
trucco dello share regge ancora, ma per quanto? La tv è cambiata, i canali
triplicati, eppure i valori dello share non mutano. In tutto il mondo lo share
è calcolato a settimana, al mese, a trimestre. Da noi resiste ancora
l’estorsione dello share tutti i giorni, arma di ricatto della politica
aziendale per smontare o sostenere una trasmissione. Quando verrà abolito il
racket-auditel?
Ecco, Io Sogno una televisione pubblica che
comprende che i telespettatori sono meglio di quanto chi pianifica i palinsesti
creda. Che con la crisi le rendite di posizione sono finite e che il servizio
pubblico dovrà guadagnarsi ogni giorno la propria ragion d’essere. Che
meritiamo di stare a tavola la sera insieme a Claudio Abbado e Carlos Kleiber
che dirigono le loro orchestre. Che meritiamo di vedere “Le cinque rose di
Jennifer” di Annibale Ruccello, “La madre” di Mimmo Borelli o, restando in
tema, “Italia-Brasile 3 a 2 “ di Davide Enia.
Roberto Saviano – L’Espresso – 26 giugno 2014
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