Strano: i più piccoli
non sono razzisti, però sessisti sì.
Sarà che certe coese, a
volte, si imparano a scuola
“Mamma, invitiamo a cena la famiglia numerosa?”. “Chi?”.
“Dai, i numerosi: quelli che han bisogno del pullman per spostarsi tutti
insieme”. “Ah! La famiglia con due mamme!”. Nell’economia dell’approssimativa
memoria di mio figlio maggiore, la numerosità della prole è ben più rilevante
dell’omogenitorialità delle madri, dettaglio trascurabile anche al cospetto di
un capiente pullmino color verde pisello. “Kato mi ha dato un pugno”. “Chi è
Kato?”. “Il mio amico, anzi nemico, dell’asilo, con gli occhiali rossi. Però
dopo l’ho picchiato anche io, Kato”. Kato, oltre a picchiarsi con il mio
terzogenito, viene dal Camerun. Agli occhi dei suoi compagni della classe blu,
lui è il bambino con gli occhiali rossi. Il colore della sua pelle non
rappresenta il primo elemento di riconoscimento. E nemmeno il secondo o il
terzo.
Nella mia esperienza decennale con l’infanzia, posso
affermare che i bambini non strutturalmente buoni e nemmeno progressisti.
Tuttavia vedono il mondo attraverso lenti diverse dalle nostre: considerano
irrilevanti cose per noi insolite o bizzarre e giudicano fondamentali
particolari per noi insensati e incidentali.
I pregiudizi sono piante velenose che, per attecchire, vanno
annaffiate in culla. “Mamma, io con le femmine non ci gioco perché sono
deboli”. “Questo quaderno è rosa. Che schifo. E’ da femmine!”. “Stai piangendo
come una femminuccia”.Questi beeri sessisti in erba sono quelli di prima. Gli
stessi piccoli uomini di mondo che ritengono l’omogenitorialità un fatto
acquisito e il colore degli occhiali una discriminante ben superiore di quello della pelle. Perché
esistono, tra i bambini, alcuni pregiudizi che sembrano radicati nella pasta
stessa di cui sono fatti. E gli stereotipi di genere vincono su tutti, anche
lì, dove pensi di avere messo moltissimo impegno, con l’esempio, le parole e
l’educazione, Mi sono chiesta, a lungo, come mai. Poi, un giorno, ho incontrato
Irene Biemmi, ricercatrice presso il Dipartimento di Scienze dell’Educazione
dell’Università di Firenze, che ha analizzato alcuni testi di lettura per
bambini delle maggiori case editrici italiane e ha pubblicato i risultati della
sua ricerca in Educazione sessista,
Stereotipi di genere nei libri delle elementari, edito da Rosenberg and
Sellier. E mi sono data qualche spiegazione.
Nei libri analizzati dall’autrice, ogni dieci protagoniste
femmine ci sono sedici protagonisti maschi. Costoro fanno 50 professioni
diverse, tra cui re, cavaliere, maestro, ferroviere, marinaio, mago, scrittore,
dottore, poeta, giornalista, ingenere ed esploratore. Le protagoniste
femminili, invece, di lavori, ne fanno solo 15, tra cui maestra, strega, maga,
fata, principessa e casalinga.
Gli aggettivi riferiti esclusivamente ai maschi, rileva
l’indagine, sono: sicuro, coraggioso, serio, orgoglioso, onesto, ambizioso,
minaccioso, pensieroso, bruto, avventuroso, autoritario, furioso, generoso,
duro, egoista e via così, su questo tenore. Gli aggettivi di appannaggio
soltanto femminile sono: antipatica, pettegola, invidiosa, vanitosa, smorfiosa,
civetta, altezzosa, affettuosa, apprensiva, angosciata, mortificata, premurosa,
paziente, buona, tenera, vergognosa, silenziosa, servizievole.
Povere bambine che possono ambire, da grandi, a fare la strega vanitosa, o la principessa
pettegola. E poveri pure i bambini che, seppur professionalmente ben più
fortunati, sono inchiodati ad aggettivi in cui è faticosissimo stare comodi e
rilassarsi.
La parità, poveri noi tutti, è ancora vista come omologazione
del femminile al maschile, sottolinea Biemmi, e non come possibilità reale di
sviluppo e realizzazione per ognuno, nel rispetto delle proprie diversità.
I pregiudizi sono piante velenose che si annidano in cucina,
in ufficio, al parco, a scuola e persino nei libri che compriamo ai nostri
figli. Sono dovunque, al punto che abbiamo smesso di vederli. Armiamoci di
occhiali e cesoie. E rimbocchiamoci le maniche, noi antipatiche e pettegole, ma
anche voi, sicuri e coraggiosi.
elasti@repubblica.it - Donna di Repubblica – 14 giugno 2014
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