Cercasi imprenditore
che ci metta del suo
Un governo che li
entusiasma. Denaro a disposizione a un costo mai tanto basso. Eppure gli
industriali italiani sembrano prigionieri del loro vizio antico. Non investono
capitali propri e così il Paese non riesce a crescere
Da quando il voto delle Europee lo ha incoronato leader
regalando al Pd un 40,8 per cento da primato, Renzi batte da trionfatore il
nord del paese e non perde occasione per stringersi agli imprenditori, motore
di una crescita che stenta ad arrivare: eccolo allora nel nordest, regno delle
piccole e medie imprese, dei capannoni diffusi e delle partite Iva che una
volta plaudivano a B. e ora invece guardano a Matteo il giovane con speranza e
fiducia; ed eccolo nella sua Firenze abbracciare i campioni del made in Italy e
del lusso accorsi al Pitti. Giorgio Squinzi, che si è distinto per aver inopinatamente
bocciato prima il governo Monti e poi Letta, oggi paragona Renzi a una Ferrari:
“Ha una grande potenza nel motore, ma ora deve dimostrarlo mettendo questa
potenza su strada”. Da un’enfasi all’altra. Forse spera che il governo allenti
i cordoni della spesa pubblica anche perché
e spinga sulle banche perché si decidano a dare credito più facile alle
imprese. E dunque non deve aver gioito più di tanto quando il premier gli ha
ricordato che anche gli industriali che rappresenta devono fare la loro parte.
Non E’ Un Caso che tutto questo agitarsi arrivi
dopo la fase due della strategia Draghi, che ha ulteriormente abbassato il
costo del denaro, e dopo le parole pronunciate da Ignazio Visco nelle sue
Considerazioni finali. Che cosa aveva detto il governatore della Banca
d’Italia? Che sì, ci sono tante cose importanti da fare, urgenti misure di
politica economica e riforme annunciate e mai realizzate, ma in quanto alla
crescita la partita è più o meno tutta nelle mani delle banche e degli
imprenditori. Le prime nel 2013 hanno ulteriormente tagliato i finanziamenti
alle piccole e medie aziende del cinque per cento, ora invece avrebbero la liquidità
sufficiente per tornare a finanziare investimenti, dopo il meno 17 per cento
dell’anno scorso; i secondi dovrebbero finalmente ricominciare a fare il loro
mestiere. Cioè scommettere, crescere, investire. Sfide che non hanno mai
vissuto con particolare piacere.
E’ un vizio antico, il loro. Gli imprenditori, ce lo ha
appena ricordato il governatore Visco, non vanno alla ricerca di nuovi soci,
non si battono per uscire dalla gabbia della dimensione familiare, non vanno
sul mercato per reperire i capitali necessari, non amano imbarcarsi in nuove
avventure: basterebbe la decennale storia della Telecom o quella dell’Alitalia
a confermarlo. Inoltre sono molto più indebitati dei loro omologhi d’Europa e
molto più dipendenti dalle banche, che non solo finanziano le loro imprese, ma
spesso ne detengono importanti quote di capitale: molti anni fa Raffaele
Mattioli la chiamava “la mostruosa fratellanza siamese”…A questo punto ci
vorrebbe una terapia shock: le imprese dovrebbero pensare a irrobustirsi
abbattendo il debito e aumentando il patrimonio di una somma equivalente, anche
diversificando le fonti di finanziamento. Ma gli imprenditori, pronti a
pretendere dai governi grandi piani industriali, soldi e agevolazioni, non
sembrano disposti a darsi questa missione, o forse non sono all’altezza di un
compito così gravoso.
Nel Suo Recente Libro su Cuccia – “Il segreto di
Mediobanca”, Giorgio La Malfa ricorda che l’eminenza grigia del capitalismo
all’italiana non amava gli imprenditori, li giudicava avidi di denari e desiderosi
di apparire, incapaci di pensare al futuro delle loro aziende. E la conferma di
questo giudizio aspro, Cuccia tirava fuori dal cassetto i verbali di una serie
di riunioni nelle quali, nel maggio del 1933, i capi dell’Iri Beneduce e
Menichella avevano cercato di convincere Agnelli, Pirelli, Valletta, Cini,
pubblicato stato pubblicato da Massimo Mucchetti nel suo “Licenziare i
padroni”?). Ma i grandi tycoon dell’epoca non ne volevano sapere, e per
intervenire chiedevano allo Stato molti più soldi di quanti ne avrebbero
impiegati. A verbale c’è la sconsolata conclusione di Beneduce che i campioni
del privati volevano lasciare tutto in mano allo Stato. Quando rileggeva queste
carte negli anni Novanta, mentre combatteva con privatizzazioni altrettanto difficili,
Cuccia allargava sconsolato le braccia, come a dire che nulla era cambiato
rispetto a sessant’anni prima. E oggi rispetto a ieri?
Twitter@bmanfellotto
Bruno Manfellotto – L’Espresso – 26 giugno 2014
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