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domenica 15 giugno 2014

Lo Sapevate Che: Viaggio dentro la mia mente speciale....




Temple Grandin, scienziata e scrittrice affetta da autismo, racconta come funziona un cervello “diverso”. Ai confini tra malattia e talento

Provate a chiedere a Temple Grandin cosa vede quando dite la parola “treno”. “Un treno elettrico sulla strada di casa, un altro sulla strada verso l’aeroporto di Denver, uno della metropolitana che ho preso a New York…”. Potrebbe continuare all’infinito: Grandin non ha in mente categorie, ma singoli oggetti in tutti i dettagli, come tante istantanee scattate. “Sono una visual thinker, penso per immagini. Il mio cervello è come Google: un motore di ricerca con un grande database di pagine web piene di foto”.
Professore di Scienze animali alla Colorado State University e progettista di allevamenti studiati a partire dalle sua ricerche sul comportamento dei bovini, Grandin è stata diagnosticata autistica in un’epoca (fine anni 40) in cui della sindrome si sapeva pochissimo. I sintomi? Incapacità di parlare, comportamenti distruttivi, riluttanza agli abbracci e la mania di usare qualsiasi oggetto come una trottola. Grazie a una mamma “eroica” che l’ha motivata non isolandola (“mi lasciava fare l’autistica un’ora al giorno. Il resto della giornata era strutturata e super impegnata”) e al professore di scienze del liceo che ha saputo sviluppare le sue potenzialità, è diventata una persona di successo, su cui è stato anche girato un tv movie, Temple Grandin, una donna straordinaria interpretata da Claire Danes (Golden Globe all’attrice e sette Emmy awards tra attori e fim).
Nota soprattutto per gli studi sul linguaggio e le emozioni degli animali, nel suo nuovo libro Il cervello autistico (Adelphi) Grandin si concentrata su di sé. Il volume compone, con un corredo di aneddoti personali, documenti scientifici e risonanze magnetiche, una sorta di road map all’autismo. Negli ultimi anni le diagnosi sono aumentate perché si è ampliato lo spettro dei sintomi riconosciuti. “Ma la diagnosi dei sintomi”, dice, “è troppo generica:bisogna cercarne le cause, che sono in massima parte biologiche”.
Grandin stessa ha capito molte cose grazie al neuroimaging ed è convinta che quanto più migliorerà questa tecnologia tanto più le valutazioni della malattia saranno precise caso per caso. “Ci sono differenze innate nei circuiti, che spiegherebbero le discrepanze nelle abilità e nelle deficienze. Per esempio io ho una corteccia visiva e alla mia bravura nell’arte e nella progettazione”. Per contro la sua amigdala, la parte che elabora la paura, risulta molto più grande del normale. “E ci sono suoni come il ronzio degli asciugamani elettrici o gli allarmi dell’aeroporto che mi provocano attacchi di panico”.
Le risonanze sono ancora imprecise, ma la scienziata ha grande fiducia nell’HDFT (High Definition Fiber Tracking), una tecnica di scansione che segue le fibre cerebrali per lunghe estensioni: Usata per localizzare i traumi neurologici, tra qualche anno potrebbe essere disponibile negli ospedali anche per studiare l’autismo e individuare terapie. Un altro territorio promettente ma poco esplorato, secondo Grandin, è la ricerca sensoriale: è convinta che le persone autistiche siano molto più connesse col mondo esterno di quanto appaiono o di quello che pensiamo noi. “Molti bambini non tollerano di stare in ambienti come mall, ristoranti o supermercati perché sono ipersensibili agli stimoli visivi o auditivi.  loro sistema neuronale va in sovraccarico e tutte le sensazioni diventano dolorosamente intense. Ci sono troppe informazioni. Alcuni ricercatori credono che questi non siano problemi reali. Io rispondo: probabilmente quel bambino nel mall impazzisce perché si sente come dentro le casse di un concerto rock! Eppure ho visto pochi studi su questo argomento. Forse perché richiederebbe agli scienziati di immaginarsi mentre guardano il mondo attraverso un caos neuronale, e non è facile. Dovrebbero chiederlo ai diretti interessati, perché solo una persona in sovraccarico sensoriale può dirci cosa prova”.
Con soggetti in grado di comunicare verbalmente, l’autodescrizione può essere relativamente facile. Ma che fare con chi non parla? Usate un tablet, suggerisce Grandin, sul quale si può scrivere senza bisogno di alzare gli occhi dalla tastiera. Grandin ricorda che, quando da piccola aveva problemi nel dare un senso nei chiacchiericci intorno a lei, a volte spegneva gli stimoli, isolandosi, altre volte se era letteralmente invasa e aveva un attacco di nervi. Due comportamenti diversi per un’unica emozione: “Iporeattività e iperattività potrebbero essere la stessa cosa”, ipotizza. Anche questo potrebbe avere delle ripercussioni sulla terapia. In genere gli autistici vengono curati con farmaci che attivano il funzionamento neuronale, ma a volte non sono la risposta adeguata: “Io prendo antidepressivi da 35 anni e mi hanno salvato la vita perché mi permettono di dominare l’ansia in situazioni sociali. Bisogna stare attenti nei dosaggi, soprattutto con i bambini, ma possono essere molto utili!”. Certo, l’autismo è una patologia di gravità molto diversa da un caso all’altro e il disturbo di Grandin è tra quelli cosiddetti “ ad alta funzionalità”, tuttavia lei non ha mai permesso a questa condizione di definirla. “Le etichette sono utili per ottenere aiuti come insegnanti di sostegno a scuola, ma pericolose quando diventano camicie di forza. Io mi considero prima di tutto un’esperta di bestiame, un professore e una scienziata. E questo vale anche per tutti gli Happy Aspies, gli “Asperger felici”,, i nerd della Silicon Valley che non si farebbero mai diagnosticare come malati. Magari sono strambi dal punto di vista relazionale, ma altamente creativi. Non vorrei mai che l’autismo fosse totalmente cancellato da una cura: Steve Jobs era probabilmente autistico, e anche Einstein!”.
Grandin crede che la cosa più importante sia intervenire precocemente. Per questo insiste che i bambini debbano essere forzati a uscire dalla loro “comfort zone” almeno 20 ore a settimana. “Da piccola mia madre mi ha insegnato le buone maniere a tavola. Mi faceva fare l’anfitrione alle sue feste: dovevo aprire  la porta, salutare gli invitati, prendergli i cappotti. Una volta mi mandò a comprare della legna, esperienza per me terrorizzante. Lei fu inflessibile e io lo feci piangendo lungo la strada. La volta dopo ero meno spaventata e piano piano le mie capacità relazionali sono migliorate. A 14 anni pulivo otto stalle al giorno e davo da mangiare ai cavalli. Perchè anche imparare lavori manuali da piccoli, verso i 12 anni, è molto importante, dice, “ed è un vero peccato che nelle scuole si insegni sempre meno a disegnare, tagliare, cucire, costruire, lavorare con i metalli. Sono abilità utilissime che per molti possono diventare un lavoro e la strada per una vita gratificante. Vedo troppi bambini lasciati soli nel loro mondo, a cui non vengono riconosciuti talenti. E’ sbagliato. Bisogna lavorare sui deficit tanto quanto sui punti di forza. Fateli uscire, diventare responsabili, preparateli alla vita adulta. I bambini sono spugne: bisogna riempire il loro database con pagine web di esperienze”.
Mara Accettura – Donna di Repubblica – 7 giugno 2014

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