Di fronte al medico Usa, ti senti
come uno che compra un’auto.
Finisci per uscire con degli optional
che non sapevi neppure che esistessero
Dottore –
spiega il paziente al medico – se schiaccio qui mi fa male. E allora lei non schiacci
li, risponde il medico. E’ una vecchissima battutina, citata giusto per
strappare un mezzo sorriso prima di entrare in un argomento che ridere non fa,
ed è il rapporto fra paziente e dottore negli Stati Uniti.
Da cliente
bicontinentale quale sono, soggetto alle
cure tanto di medici americani quanto di medici italiani, dopo decenni di
pediatri, generalisti, radiologi, urologi, dermatologi, cardiologi, ginecologi,
ostetrici (questi ultimi due per moglie e figlia, tanto per chiarire) eccetera,
ho raggiunto una convinzione: se non ci sono urgenze, preferisco sempre gli
italiani agli americani.
Sbarazziamo
subito il campo dalla tragica e vera casistica della cosiddetta “malasanità”,
dalle immagini vergognose di pazienti parcheggiati nei corridoi in attesa di
letti che non arriveranno mai. E ricordiamo che, per quanto orribile sia la
sanità in alcuni ospedali e zone d’Italia, anche la più scadente medicina
pubblica è meglio di nessuna medicina. Parlo invece del momento nel quale il
paziente arriva finalmente davanti al medico per esplorgli i propri guai. E’
qui che la superiorità degli italiani sugli americani si manifesta. Esclusi i
maleducati, i cani, i frettolosi in camice bianco che esistono in ogni luogo e
tempo, di fronte a un medico italiano mi sento ancora un essere umano e non un
cliente o un caso clinico. Una persona che ha bisogno, prima di subire una
batteria di test ed esami, di qualche conforto.
Di fronte al
medico americano, la preoccupante sensazione è la stessa che si prova andando a
comperare un’auto. Si entra dal concessionario decisi ad acquistare il modello
base e si esce con rivestimenti in pelle (la nostra?, stereo da concerto allo
stadio, cruscotto da cabina di pilotaggio di un bombardiere, bottoniere la cui
funzione e utilità sono destinate a restare misteriose fino alla vendita
dell’auto stessa, visto che nessuno, nella storia dell’umanità, ha mai letto le
800 pagine del manuale completo.
E quello che
provo davanti all’american doctor, che i telefilm alla Dottor House idealizzano, dai lontani tempi del Dottor Kildare, il progenitore del
genere. Si chiama, spiegano i medici americani, “medicina difensiva”. La devono
praticare, coprendo il cliente-paziente di ogni esame immaginabile, per
difendersi dall’accusa di essere stati superficiali od ottimisti, di avere
sbagliato quella diagnosi che avrebbe potuto salvare la vita e per rispondere
all’assicurazione che li tartassa. Sull’altare di questo mostruoso complesso
medical-industriale-assicurativo, ormai molto più grande della famigerata lobby
militar-industriale, gli Usa sacrificano quasi 3mila miliardi di dollari
all’anno, con la spesa pro capite più alta del mondo, 8mila dollari, 6mila
euro. Le spese sanitarie sono, con i divorzi, la prima causa di bancarotta privata.
Dunque, si
ragiona, se l’America spende in sani più dell’intero Pil italiano, i risultati
saranno proporzionati. E invece non lo sono. Con tutti i disastri del nostro
Servizio Sanitario scalcagnato la prova finale, la “prova del budino” (che è
nel mangiarlo) è a nostro favore. Anno dopo anno, l’attesa di vita alla nascita
degli italiani cresce, per le donne a 85 anni e per gli uomini a 81, ottavo
posto al mondo, mentre quella americana arranca al 35esimo posto. Con la più
alta spesa sanitaria nel mondo, gli americani si comperano 4 anni di vita in
meno di noi. Né la sopravvivenza e malattie gravi è più lunga.
Ci sono,
naturalmente, molte altre cause. Ma per ora, e fino a quando durerà, il
confronto con un medico italiano mi terrorizza meno di quello con un suo
collega americano che per stare nel sicuro snocciolerà tutte le possibili cause
di quell’insistente dolore al ditone del piede, ipotizzando patologie fatali
spesso con il nome e il cognome di chi le ha scoperte, che non è mai un buon
segno.
Anche noi
italiani, come tutto il mondo, stiamo incamminandoci lungo quella strada,
quella della medicina difensiva, per il medico di famiglia che usciva dalla
visita al capezzale del parente anziano stringendosi nelle spalle. Come va?
“Tiro avanti”, rispondeva.
Come
facciamo tutti.
Vittorio
Zucconi – Donna di Repubblica – 21 giugno 2014
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