Sull’immigrazione la
retorica pietista
aiuta solo la xenofobia
Gentile Serra, sono un
italiano stagionato e deluso. Nato nel 1939 ho avuto
un padre comunista,
perché “povero”, ed una madre cattolica, perché
“usava”, ma forse anche
convinta. Ho ricordi della Seconda grande guerra,
della miseria, del boom. Ho creduto più alla Dc che al Pci.
Ora non credo quasi più a niente, pur avendo conosciuto e conoscendo parecchia
gente dignitosa ed onesta di fatto vittima di come sono andate le cose da noi:
forse anche per la mia complice stupidità ed ignoranza, ancorché involontarie.
Vedo macerie immani ed ammiro la giovanile speranza di Renzi, frutto dell’età,
ma (spero proprio) non soltanto. Un fatto, con altri, mi inquieta e mi
impressiona. Nel mio ormai consolidato pessimismo, vedo con paura le orde di
disperati che, fuggendo dall’incapacità violenta dei loro, si stanno immolando
pur di arrivare da noi, a complicare in modo originale il già tutto complicato
che abbiamo brillantemente costruito. Sono senz’altro egoista ma l’andazzo mi
preoccupa, aggiungendosi all’infinito degli altri mali che mi e ci distruggono,
Gianluigi Dell’Orto
Caro Dell’Orto, grazie, intanto per la dolente cortesia con
la quale esprime un sentimento (la paura dell’immigrazione) che genera, di
solito, maledizioni scomposte e urla ostili. Non è solo una questione formale:
cercare di dire bene anche il male lo rende, come dire, più umano e più
comprensibile, e facilita la discussione. Di mio posso aggiungere questo: solo
un incosciente può fingere che l’impatto con le ondate migratorie non sia molto
duro. Lo è per quelli che arrivano, lo è per chi li riceve, volente o nolente
esso sia. Potrei dirle, come si fa di solito, che questa durezza è compensata
dal lavoro prezioso di milioni di immigranti, ma non lo faccio – anche se è
perfettamente vero – perché non è questo il punto. Il punto è che il tutto sta
avvenendo con una rapidità e una potenza che ci fanno sembrare ingovernabile la
questione. E forse lo è. Come spesso sono gli sconvolgimenti naturali: non
saprei definire altrimenti il flusso di masse di poveri verso terre più ricche.
Certo facciamo bene a rimproverare l’Europa per la sua vile distrazione; e
qualcosa di più e di meglio, per regolare i flussi, può essere fatto. Ma la
questione di fondo, io credo, è che nessuna grande migrazione ha mai potuto
essere respinta, perché ciò che muove i popoli è più urgente, più potente di
ciò che tenta di arginarli. Non ci resta, dunque, che attrezzarci, cercare di
ammortizzare l’impatto culturale e sociale, renderlo meno traumatico, ribadire
le nostre leggi fondate sulla liberalità, apprezzare ciò che di buono e utile
arriva dal mare senza chiederci troppo se il prezzo sia equo: è certamente più
iniquo per chi annega. E un’altra cosa dovremmo fare: evitare che la retorica
pietistica diventi così appiccicosa da impedirci di agire nel concreto, senza
fare troppe ciance, per aiutare chi arriva e per aiutare noi stessi; questo per
meglio tacitare, sul fronte opposto, il ringhio razzista e la paranoia xenofoba,
e tutte le ignobiltà da cortile che ci tocca sentire da parte di chi rastrella
voti tra gli impauriti. Il mondo è grande, e spesso molto duro. Grandezza e
durezza non sono contrattabili, dobbiamo solo cercare di esserne all’altezza.
Si tenga cara la sua paura, caro amico Gianluca, ma non se ne faccia mai
sopraffare.
Michele Serra- Venerdì di Repubblica – 13 giugno 2014
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