Matteoli, dacci Il
Cinque
I pm indagano sul
rapporto tra l’ex ministro e il costruttore.
Che otteneva quote di
cantieri milionari senza una vera azienda
E l’Italia inventò l’impresa edile virtuale. Si chiama
Socostramo, appartiene al costruttore Erasmo Cinque e ai suoi due figli.
Secondo i numerosi testimoni, indagati, pentiti e mezzi pentiti dell’inchiesta
sul Mose, produceva utili senza rischio e con un impiego di ruspe e manovali
ridotto al minimo. Il rischio d’impresa azzerato è il marchio di fabbrica della
galassia Consorzio Venezia Nuova (Cvn): un mare di denaro pubblico, niente
controlli, margini enormi e profitti da reinvestire in nuove avventure sotto
l’egida del project financing. S’intende, dopo aver mostrato riconoscenza tangibile
a chi facilitava lo sblocco dei fondi. Ai politici, insomma. Giovanni
Mazzacurati dialogava con Gianni Letta attraverso Alessandro Mazzi di Fincosit.
Il Pd pensava alle cooperative. L’ex governatore veneto e poi ministro
Giancarlo Galan aveva un occhio di riguardo per la Mantovani di Romeo Chiarotto
e Piergiorgio Baita. Tutte imprese di ottimo livello, con centinaia di addetti,
che magari avrebbero lavorato lo stesso, e magari meglio, senza dovere pagare
il pedaggio. Ma in ogni nodo, imprese che lavoravano con profusione di uomini e
mezzi.
E poi c’era la coppia Altero Matteoli-Erasmo Cinque, con il
secondo sospettato dai giudici di incassare una percentuale che girava al
politico toscano “senza mai operare”. La definizione migliore è di Mazzacurati:
“Erasmo Cinque è una persona che praticamente non ha impresa, è una
combinazione di effetti”.
Una combinazione efficace per un duo cementato dalla passione
missino-almirantiana con Cinque che si fa cacciare dalla presidenza dei
costruttori romani (Acer) per i suoi attacchi frontali all’allora sindaco
Francesco Rutelli. Era il 1994. In quegli anni dell’immediato post-Tangentopoli
Cinque capisce che un’impresa media, come la sua, non ha futuro. Lì trova la
soluzione brillante: mollare le betoniere e piazzare la Socostramo in una serie
di opere pubbliche, possibilmente non a gara, prendendo la quota di un
consorzio e lasciando la seccatura dei lavori alle ditte in subappalto. Oppure,
se le opere non partivano, aprire uno di quei contenziosi che ineluttabilmente
si concludono con la vittoria del privato e la sconfitta dello Stato. O,
infine, fare una sorta di trading, edilizio e rivendere ad altri membri del
raggruppamento di imprese la quota pagata zero.
Perché qualcuno la quota Socostramo se la ricomprava sempre,
senza troppo tirare sul prezzo. Dare un dispiacere a Cinque significava
amareggiare Matteoli, ministro dell’Ambiente per pochi mesi nel Berlusconi I,
per cinque anni nel Berlusconi II e III, e titolare delle Infrastrutture dal
2008 al 2011 con Cinque come consigliere economico, presente alle riunioni più
riservate, ai convegni annuali dell’Aiscat (l’associazione delle concessionarie
autostradali), animatore della Fondazione della Libertà per il bene comune
creata e presieduta da Matteoli con altri due fedelissimi. Uno è il tesoriere,
Giovan Battista Papello, piazzato nel consiglio di amministrazione dell’Anas in
quota Alleanza Nazionale prima che Gianfranco Fini, da idolo di Cinque e
Matteoli, diventasse l’appestato della destra, L’altro è Roberto Sorrentino.
Presidente del comitato tecnico-scientifico della fondazione, sindaco dell’Anas
durante la presidenza di Vincenzo Pozzi, che a sua volta è un altro
simpatizzante del ministro-sindaco di Orbetello. E’ a Matteoli che Pozzi deve
la sua collocazione su due poltrone : quella di presidente della Cal
(Concessioni Autostradali Lombarde), società Anas-Regione incaricata delle
maggiori infrastrutture lombarde, e quella di commissario dell’autostrada
Roma-Latina.
Il portafoglio lavori della Socostramo è per lo più concentrato fra Veneto, Lombardia
e Lazio. Nel Veneto l’impresa di Cinque è stata associata con il gruppo
Serenissima holding della famiglia Chiarotto in Alfa e in Talea, dove Cinque è
stato anche presidente. Il consorzio Talea è citato nelle intercettazioni di
Walter Colombelli, il gestore della cartiera sanmarinese per i fondi neri del
sistema Mantovani-Cvn. Nelle carte risultano false fatture per 400 mila euro
spedite da Talea a San Marino. Talea anche è fra le imprese impegnate nelle
bonifiche di Expo 2015 dopo aver lavorato alle bonifiche di Marghera. La
pulizia del porto industriale di Venezia è stata governata dal presidente del
Magistrato alle acque Patrizio Cuccioletta, nominato da Matteoli a ottobre del
2008 ed arrestato due settimane fa. Sul fronte bonifiche i magistrati veneziani
stanno ancora lavorando. Intanto Socostramo ha ceduto le sue quote di Talea a
Mantovani. Cessione alla holding di Chiarotto anche per la quota di Socostramo nel consorzio. La Quado incaricato
di costruire la terza corsia dell’A4 (San Donà-Quarto d’Altino) insieme a
Impregilo e alla Coveco, le coop rosse del Mose.
In Lombardia, oltre alle bonifiche per l’Expo, la Socostramo
si è inserita anche nell’ati (associazione temporanea d’impresa) ch esta
realizzando la piastra espositiva, con la Mantovani capofila e una quota del 10
per cento sui lavori complessivi. Un altro contratto consistente (38 milioni di
euro) finito nel mirino della magistratura è la ristrutturazione della caserma
dei carabinieri di via Montebello a Milano, un’opera mai sollecitata dall’Arma
e lanciata a settembre 2011, con Berlusconi prossimo alle dimissioni. L’incasso
complessivo dalla vendita delle quote nei consorzi Talea, La Quado e Fagos
(anche questo attivo nell’aera veneziana) è di 15,5 milioni di euro. Quel che
si dice un buon investimento. E senza muovre una scavatrice.
Ma è il Lazio che ha dato le maggiori soddisfazioni
all’impresa di Cinque. Nel 2012 un lodo arbitrale contro il committente
pubblico ha portato 15,3 milioni di euro nelle casse del consorzio a guida
Socostramo incaricato dei lavori sull’Appia ad Albano Laziale. Con altre opere
è andata ancora meglio. Mentre realizzava il nuovo carcere di Rieti, costato
quasi 50 milioni di euro tra il 2004 e il 2008 e rimasto chiuso fino al 2012,
la Socostramo si è lanciata nell’avventura dell’Arcea Lazio, un caso di scuola
nello sperpero di denaro pubblico.
Creato nel 2003 e messa in liquidazione dopo quasi un
decennio di sprechi, l’Arcea era una società mista tra Regione e privati
incaricata di costruire l’autostrada Roma-Latina. In Arcea la Socostramo aveva
poco più del 3 per cento complessivo, attraverso il Consorzio 2050. Undici anni
dopo la costituzione, la Roma-Latina non si è ancora fatta. L’Arcea è stata
sbaraccata, ma non prima di avere distribuito decine di milioni di euro in
consulenze e progetti. A fronte della sua quota in Arcea, Socostramo ha portato
a casa un lodo arbitrale da 43 milioni più interessi contro il quale
l’amministrazione pubblica ha proposto appello. Per adesso si è mossa la Corte
dei conti che ha chiesto il danno erariale per 20milioni di euro a due
governatori del Lazio, Francesco Storace e Piero Marrazzo, e ai consiglieri di
Arcea Lazio di nomina pubblica. Ma non a
Cinque, consigliere di nomina privata.
La Roma-Latina, gestita dagli ex Anas nonché collaudatori del
Mose Vincenzo Pozzi e Massimo Averardi, dovrebbe essere assegnata entro l’anno.
Cinque ha annunciato che vuole rientrare in gioco come concessionario. Sembra
un’ottima idea.
Gianfranco Turano – L’Espresso – 26 giugno 2014
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