Ma il trionfo di Renzi
allontana le riforme
Il successo del premier
rischia di essere paradossale. M
Mina il sostegno di
Berlusconi e indebolisce il cambiamento
Di fronte a un risultato elettorale che “proprio non lo aveva
previsto nessuno”, ovvero a una probabile “svolta politica”, non ci si può
limitare ad analizzare i flussi elettorali o, comunque, rimanere ancorati ai
soli dati elettorali. Occorre capire più a fondo le ragioni per cui il Pd ha
superato il 40 per cento dei voti e le possibili conseguenze di questo voto
europeo, innanzitutto, per la politica italiana.
Una Spiegazione
Effettiva si può
avere se si considerano tre fattori. Il primo: si è votato con un sistema
proporzionale, poco manipolato, grazie al quale gran parte dell’elettorato ha
dato il voto che riteneva più appropriato, avendo scarse preoccupazioni
strategiche. Peraltro, si è votato con un sistema elettorale non tanto diverso
da quello attualmente vigente in Italia, dopo la sentenza della Corte
Costituzionale di alcuni mesi fa. Il secondo, forse quello relativamente più
importante: le elezioni del 2013 avevano prodotto un effetto a cui non si era
data tutta l’attenzione necessaria. Da bipolare il sistema partitico era
diventato tripolare, con Forza Italia, Pd e il Movimento 5 Stelle. Dunque,
l’effetto di sostegno al centrodestra (ma anche al centrosinistra), che è
proprio del bipolarismo, era venuto a mancare, al tempo stesso, si era creato
lo spazio oggettivo per un partito di centro in grado di attrarre elettori da diverse
parti, cioè di far compiere ad alcuni elettori quell’attraversamento di spazio
politico tra destra e sinistra, tradizionalmente così difficile nel caso
italiano. Il terzo fattore: una campagna elettorale, attentamente condotta, è
riuscita a spostare l’attenzione degli elettori dal giudizio sul passato, che
poteva essere negativo a causa della crisi economica, ad aspettative e speranze
sul futuro, anche sulla base di una scommessa in positivo sulle capacità
decisionali e, più in generale, politiche di Renzi. Alla fine, i tre fattori si
sono rinforzati reciprocamente nel canalizzare voti verso il Pd. Non solo da un
elettorato di sinistra che tornava a sperare e a scommettere sul riformismo, ma
anche da un elettorato di centro e centro-destra, impaurito da un atteso
successo di un partito radicale e di protesta come quello di Grillo.
Quali Le Conseguenze potenziali di questa storica
affermazione elettorale, a parte quelle più ovvie, quali motivare Renzi ancora
di più in senso riformista e rafforzarlo nel partito, e anche nel suo gruppo
parlamentare in Senato? Mi limito a segnalarne due. Come appare già dalle prime
simulazioni, una riforma elettorale in senso bipolare può aiutare il Pd a
diventare maggioritario, specie se accompagnato dalla eliminazione dell’attuale
bicameralismo perfetto. Ma che interesse ha Berlusconi e FI a dare a Renzi e al
suo Pd questa possibilità? Non sarebbe meglio mantenere l’attuale sistema che
gli darebbe margini di condizionamento assai più ampi e sostanziali? Se si
suppone che Berlusconi non è e non sarà disposto a cedere la sua leadership per
alcuni anni e si immagina un Renzi che governa bene facendo le altre riforme
attese (lavoro, amministrazione e altro) vi è la concreta possibilità che il Pd
si confermi maggioranza relativa. Se è così, da parte di Berlusconi dargli
anche quella maggioranza assoluta consentita dal nuovo sistema elettorale e
autocondannarsi all’irrilevanza non sarebbe troppo? In breve, si è creato un
paradosso: il rafforzamento politico di Renzi da oggettivamente indebolito il
progetto di riforma elettorale (e probabilmente anche quella del Senato).
Il Secondo Aspetto da segnare riguarda il salto
compiuto dai votanti moderati, sia ex votanti di FI che Udc o Scelta Civica, a
sinistra, il che non era avvenuto nel 2013 con Bersani. Ma un passaggio del
genere ormai si può fare anche di ritorno. Dunque, il voto è evidentemente
diventato volatile, come non lo è mai stato. E per Renzi, mantenere le promesse
riformiste è semplicemente vitale, l’unico modo di trattenere per qualche
elezione quei voti. Senza illusioni di futuri consolidamenti elettorali che
ormai non esistono più.
Leonardo Morlino – L’Espresso – 12 giugno 2014 –
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