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mercoledì 18 giugno 2014

Lo Sapevate Che: L'antitaliano....




Grande evento pochi benefici

Uno stadio da 200 milioni di euro nel cuore dell’Amazzonia.
Il Brasile si illude di risolvere i suoi problemi ospitando i mondiali di calcio.
Ma anche l’Italia troppo spesso è colpita dalla sindrome delle grandi opere

I mondiali di calcio sono iniziati. Questi sono i giorni delle cifre definitive, sono i giorni in cui si può dire, senza timore di essere smentiti, che l’organizzazione dei mondiali in Brasile è costata più dei mondiali di Germania e Sudafrica messi insieme. Sappiamo che i finanziamenti non sono arrivati, come si era detto con tanta leggerezza, da fondi privati, ma che tuo è stato pagato dallo Stato. Dalle sue banche. Dai cittadini.
E allora credo sia giusto ascoltare quella metà di loro che non è soddisfatta di come sia stata indirizzata la spesa pubblica. E’ giusto ascoltare quella metà che non è ideologicamente contro, che non lo è stata sin dal principio, ma che a conti fatti ammette che un paese come il Brasile avrebbe meritato attenzione ad altre priorità. Ma soprattutto, fatte le dovute differenze, quello che mi ha colpito negli articoli che ho letto in questi giorni, nelle proteste e nelle risposte, è quel tratto universale che fa sentire tutto il mondo partecipe della stessa sventura. O meglio, quella parte del mondo in cui il sistema funziona male e tutto è necessariamente delegato al libero arbitrio del singolo. Alle singole volontà, alle singole onestà. Ma un sistema che è destinato al fallimento, anzi allo sfascio. Non sono d’accordo con Matteo Renzi quando dice: “Le regole ci sono, il problema sono i ladri”. Ci si toglie ogni responsabilità scaricandone solo sugli individui. Quando i ladri sono troppo è l’intero sistema che non funziona, perché crea sacche diffuse di illegalità.
Oggi Si Guarda agli appalti per l’Expo e alla nuova tangentopoli del Mose e non si comprende- ed è questo il dato universale – che nei sistemi in cui la giustizia arranca perché sovraccarica, nei sistemi in cui le carceri sono al collasso, il rischio di impresa criminale per i colletti bianchi è davvero basso e il calcolo dei rischi a fronte dei benefici è pericolosamente sbilanciato a favore dei benefici. Ecco, in questi paesi, è difficile portare avanti ogni iniziativa senza che si trasformi, nella migliore delle ipotesi, in uno spreco colossale, in una spesa insostenibile, in un danno per la comunità Nella peggiore- come accade nel Nord Italia, con buona pace di quegli zelanti provocatori di professione che versano fiumi di inchiostro per non perdere i favori della Lega – in un affare milionario per le organizzazioni criminali.
E Quindi, Tornando Al Brasile, sento di solidarizzare con chi domanda perché le risorse impiegate per i mondiali di calcio non siano state invece investite nella sanità, nell’istruzione, nei trasporti, nella sicurezza. Nella sicurezza appunto. Perché in Brasile, come in Italia, peggio dell’Italia, tutto è delegato alle forze dell’ordine: alle Unidades de policia pacifica dora, di cui il governatore di Rio de Janeiro va particolarmente fiero. Il risultato è che le favelas “pacificate” vivono assediate dalle forze dell’ordine e i narcotrafficanti si sono spostati in altre favelas, non ancora “pacificate”. Tutto si ferma al contrasto mancando totalmente quella riqualificazione del territorio che porterebbe negli anni reali benefici. Al posto della riqualificazione c’è il grande evento. Il grande evento che nel paese del “pallone” deve mettere tutti d’accordo. Non è possibile che in Brasile ci sia qualcuno che non desideri ospitare i mondiali di calcio, questo l’assunto, semplice, su cui è partita la più grossa speculazione cui il paese ha assistito negli ultimi anni.
Una speculazione che segna una battuta d’arresto nella cavalcata che il Brasile aveva intrapreso nell’ultimo decennio. Una battuta d’arresto che non porterà benefici perché non esiste un sistema in grado di valorizzare quanto fatto sino ad ora. Le opere pubbliche finalizzate ai grandi eventi hanno senso in territorio in grado di accoglierle e di farne tesoro negli anni a venire. Ma un paese che investe 200 milioni di euro nella costruzione dello stadio di Manaus, l’Arena de Amazonia, nel bel mezzo della foresta pluviale, un colosso in cui si disputeranno pochissime partite è un paese di cui non ci si può fidare. Paulo Lins, l’autore del libro “Città di dio” (da cui nel 2002 è stato tratto l’omonimo film), su “El Pais” ha scritto: “E’ ora di rendere questo paese – il Brasile – una nazione”. Sento che queste parole dovrebbero appartenerci. Anzi, ne sono certo, ci appartengono.
Roberto Saviano – L’Espresso – 19 giugno 2014

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