La serie Gomorra
spiegata a mia figlia
(anzi, da lei spiegata
a me)
“Quando hai visto gli
episodi dimmelo, voglio il commento” mi scrive via sms
mia figlia Anita, 11
anni freschi di telefonino appena regalato. Legge mentre trangugio le ultime
puntate di Gomorra, che a differenza di mia figlia non ho
ancora visto. Lei sì, e sa tutto: chi muore, chi vive, chi
sopravvive, forse. Mio padre, una settimana prima, aveva provato ad arginare
l’inarginabile. “Spero tu non stia facendo vedere Gomorra ad Anita” mi aveva scritto a margine di una scena di
tortura. “Troppo tardi” ho risposto – anche se per la scena in questione avevo
invitato Anita a cambiare stanza.
“Ma io ho visto Kill
Bill con Ludovico” cugino di 18 anni, occasionale cattivo maestro di
famiglia, “posso vedere anche Gomorra”
mi aveva tranquillizzato lei tra un colpo di pistola e l’altro.
Eppure, la vera arma di inizio millennio, nelle mani della
creatura gliel’abbiamo appena messa noi genitori. Il sorriso che mi ha fatto la
giovane donna al momento dell’acquisto è entrato prepotentemente sul podio dei
sorrisi dei suoi primi undici anni. Anche lei ora, come tutti i suoi ex
compagni delle elementari, può mitragliare messaggi con Whatsapp, ammiccare
su FaceTi, nuotare su Internet, mandare
sms e perfino telefonare, la funzione del telefonino meno trasgressiva di
tutte. Il combinato disposto di Smartphone più Gomorra fa di Anita la figlia viziata di padre viziato e madre
permissiva che come giunchi si piegano aspettando che passi la piena.
Ora più che mai devo credere nella tesi del libro Tutto quello che fa male ti fa bene. Perché
la televisione, i videogiochi e il cinema ci rendono intelligenti, del
giornalista americano Steve Johnson.
Anche perché commentare Gomorra con Anita per noi è molto
divertente. Ora lei tifa per Pietro Savastano e rimpiange Donna Imma, ma un
immotivato eppure razionale ottimismo ci convince che non saranno quelli i suoi
modelli a venire. Gli input di famiglia cedono il passo a quelli esterni, ma
confusamente arrivano, giusti o sbagliati che siano: Questa settimana Anita ha
visto Maleficent, resistito al
documentario su Berlinguer (rassegnata al fatto che alla fine lui muore), e
tifato per la Croazia (seguendo l’indole di famiglia di tifare per il più
debole, consapevoli del fatto che, in quanto tale, ma soprattutto a fronte di
puntuali ingiustizie, perderà). Intanto mi ha spiegato come scaricare inutili
ma improvvisamente necessarie icone per chat.
Ci penso mentre passo davanti alla scuola dove il prossimo
anno faremo le medie. Ci sono ragazzine che aspettano le pagelle. Hanno tutte
un telefonino in mano.
Diego Bianchi – Venerdì di Repubblica – 20 giugno 2014 –
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