Tutti sapevano, nessuno
parlava
La Tangentopoli veneta
è peggiore di vent’anni fa.
Perché coinvolge, oltre
ai politici, magistrati, servizi segreti, finanzieri.
Impegnati ad alzare una
diga contro le indagini. E si scopre che il marchio Mose non è registrato. E
non si sa di chi sia….
Uffa, che noia, ancora mazzette e corrotti, finanzieri
silenti e grand commis conniventi. Verrebbe voglia di parlare d’altro. Anche
perché nella notte delle ruberie pubbliche finisce che tutti i gatti appaiano
bigi, e più si alza il tiro più cresca l’assuefazione. E però, come si fa? Se
vent’anni di denunce non hanno impedito di dilagare di altre Tangentopoli, da Mani pulite all’Expo
al Mose, che cosa succederebbe se anche i cronisti diventassero spettatori
distratti del marciume? Se non trovassimo sorprendente, se pur utile e
salvifico, che a svelare il meccanismo della mazzetta veneta perenne e
consociativa sia stato un imprenditore che prima di raccontare tutto ai pm è
finito per tre volte in vent’anni in storie simili di commesse e di denaro
nero, e sempre per conto della stessa azienda? Che a nessuno sia venuta in
mente l’esistenza di un “sistema”?
Stavolta, poi, lo spettacolo è perfino più drammatico di
quello andato in scena sul palcoscenico
di Mani pulite. E per più di una ragione. La prima è che non ci sono più i
partiti tradizionali, quelli forti e strutturati. Sì, l’affermazione potrà
sembrare spericolata, specie a chi si nutre di polemiche anti casta. Ma i
grandi partiti filtravano, setacciavano, frenavano appetiti, e ciascun
leaderino si sentiva in dovere di arginare lo strapotere altrui, se non altro
per evitare di uscirne schiacciato. C’era una stagionem gli anni ruggenti del
Psi della Milano da b
In cui Rino Formica avvertiva: “Il convento è povero, ma i
frati sono ricchi”.
Oggi Invece Al Posto dei partiti impazzano i cacicchi, i
patentati locali, le lobby d’interesse che controllano affari e territori in
uno scialo di motoscafi e alberghi a cinque stelle, politici e funzionari a
libro paga, villoni con parco e cappella privata (magari venisse voglia di
confessare i propri peccati….). e non è la sola differenza rispetto alla
Tangentopoli di vent’anni fa. La versione di Venezia mostra l’esistenza di un
robusto meccanismo diverso dal passato che non tocca solo i politici e qualche
mela marcia della pubblica amministrazione. Ma ministri, sottosegretari,
magistrati, finanzieri, consiglieri di Stato, servizi segreti, authority miopi
e collaudatori pagati a percentuale. Si ha l’impressione che una così vasta
rete di amici e amici degli amici avesse non tanto lo scopo di innalzare una
diga di protezione utile a segnalare guai in vista, deviare inchieste su binari
morti, chiudere occhi troppo curiosi, lasciare al Consorzio Venezia Nuova una
autonomia tale da sconfinare in onnipotenza autoreferenzialità. Da vent’anni
garantita da uno stuolo di sodàli grati.
Inquieta, Inoltre, Che
Il Traffico intorno
al Mose e non solo fosse noto da tempo. Un’inchiesta di Gigi Riva per
“l’Espresso”- “Galassia Galan” – che raccontava per filo e per segno il sistema
di potere del governatore di allora, si interrogava su quel villone restaurato
a colpi di milioni (“Sono ricco di famiglia”, spiegava il Doge con involontaria
ironia) e segnalava le ditte – le stesse di oggi, ma guarda un po’ – che si
aggiudicavano tutti gli appalti pubblici, porta la data del dicembre 2006.
Quasi otto anni fa. Da allora a oggi il Parlamento ha depenalizzato il falso in
bilancio, varato una decina di leggi su misura per B., accorciato i tempi di
prescrizione per molti reati (concussione compresa, con gli applausi di
Berlusconi e Penati) spuntando le unghie ai magistrati e favorendo una sorta di
periodica amnistia. Oltre a lanciare un segnale evidente alla vasta truppa del
malaffare.
E’ tale l’autoreferenzialità del sistema Mose – costato
finora 5,6 miliardi di euro – che nessuno sarebbe in grado di indicarne così su
due piedi la proprietà: lo Stato? La concessionaria? Il progettista? Le
imprese? Del brand potrebbe appropriarsi chiunque, e l’impianto non potrebbe
venderlo nessuno (i clienti ci sarebbero). Ecco, basterebbe questo paradosso a
riassumere ciò che è successo finora. E a pretendere che la giustizia e la
politica, quella vera, rimettano le mani sul Consorzio e la restituiscano alla
legalità. Una legge al popolum,
Twitter@bmanfellotto
Bruno Manfellotto – L’Espresso – 19 giungo 2014 -
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