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domenica 22 giugno 2014

Lo Sapevate Che: Questa Settimana...


Tutti sapevano, nessuno parlava

La Tangentopoli veneta è peggiore di vent’anni fa.
Perché coinvolge, oltre ai politici, magistrati, servizi segreti, finanzieri.
Impegnati ad alzare una diga contro le indagini. E si scopre che il marchio Mose non è registrato. E non si sa di chi sia….

Uffa, che noia, ancora mazzette e corrotti, finanzieri silenti e grand commis conniventi. Verrebbe voglia di parlare d’altro. Anche perché nella notte delle ruberie pubbliche finisce che tutti i gatti appaiano bigi, e più si alza il tiro più cresca l’assuefazione. E però, come si fa? Se vent’anni di denunce non hanno impedito di dilagare  di altre Tangentopoli, da Mani pulite all’Expo al Mose, che cosa succederebbe se anche i cronisti diventassero spettatori distratti del marciume? Se non trovassimo sorprendente, se pur utile e salvifico, che a svelare il meccanismo della mazzetta veneta perenne e consociativa sia stato un imprenditore che prima di raccontare tutto ai pm è finito per tre volte in vent’anni in storie simili di commesse e di denaro nero, e sempre per conto della stessa azienda? Che a nessuno sia venuta in mente l’esistenza di un “sistema”?
Stavolta, poi, lo spettacolo è perfino più drammatico di quello andato in scena sul  palcoscenico di Mani pulite. E per più di una ragione. La prima è che non ci sono più i partiti tradizionali, quelli forti e strutturati. Sì, l’affermazione potrà sembrare spericolata, specie a chi si nutre di polemiche anti casta. Ma i grandi partiti filtravano, setacciavano, frenavano appetiti, e ciascun leaderino si sentiva in dovere di arginare lo strapotere altrui, se non altro per evitare di uscirne schiacciato. C’era una stagionem gli anni ruggenti del Psi della Milano da b

In cui Rino Formica avvertiva: “Il convento è povero, ma i frati sono ricchi”.
Oggi Invece Al Posto dei partiti impazzano i cacicchi, i patentati locali, le lobby d’interesse che controllano affari e territori in uno scialo di motoscafi e alberghi a cinque stelle, politici e funzionari a libro paga, villoni con parco e cappella privata (magari venisse voglia di confessare i propri peccati….). e non è la sola differenza rispetto alla Tangentopoli di vent’anni fa. La versione di Venezia mostra l’esistenza di un robusto meccanismo diverso dal passato che non tocca solo i politici e qualche mela marcia della pubblica amministrazione. Ma ministri, sottosegretari, magistrati, finanzieri, consiglieri di Stato, servizi segreti, authority miopi e collaudatori pagati a percentuale. Si ha l’impressione che una così vasta rete di amici e amici degli amici avesse non tanto lo scopo di innalzare una diga di protezione utile a segnalare guai in vista, deviare inchieste su binari morti, chiudere occhi troppo curiosi, lasciare al Consorzio Venezia Nuova una autonomia tale da sconfinare in onnipotenza autoreferenzialità. Da vent’anni garantita da uno stuolo di sodàli grati.
Inquieta, Inoltre, Che Il Traffico intorno al Mose e non solo fosse noto da tempo. Un’inchiesta di Gigi Riva per “l’Espresso”- “Galassia Galan” – che raccontava per filo e per segno il sistema di potere del governatore di allora, si interrogava su quel villone restaurato a colpi di milioni (“Sono ricco di famiglia”, spiegava il Doge con involontaria ironia) e segnalava le ditte – le stesse di oggi, ma guarda un po’ – che si aggiudicavano tutti gli appalti pubblici, porta la data del dicembre 2006. Quasi otto anni fa. Da allora a oggi il Parlamento ha depenalizzato il falso in bilancio, varato una decina di leggi su misura per B., accorciato i tempi di prescrizione per molti reati (concussione compresa, con gli applausi di Berlusconi e Penati) spuntando le unghie ai magistrati e favorendo una sorta di periodica amnistia. Oltre a lanciare un segnale evidente alla vasta truppa del malaffare.
E’ tale l’autoreferenzialità del sistema Mose – costato finora 5,6 miliardi di euro – che nessuno sarebbe in grado di indicarne così su due piedi la proprietà: lo Stato? La concessionaria? Il progettista? Le imprese? Del brand potrebbe appropriarsi chiunque, e l’impianto non potrebbe venderlo nessuno (i clienti ci sarebbero). Ecco, basterebbe questo paradosso a riassumere ciò che è successo finora. E a pretendere che la giustizia e la politica, quella vera, rimettano le mani sul Consorzio e la restituiscano alla legalità. Una legge al popolum,
Twitter@bmanfellotto
Bruno Manfellotto – L’Espresso – 19 giungo 2014 -

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