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sabato 7 giugno 2014

Lo Sapevate Che: Primo Piano ...




Ma quali consumi, bisogna investire

Lo Stato deve tornare a spendere di più creando opere pubbliche che hanno un triplice beneficio sul Paese.
E migliorano il benessere di tutti i cittadini

Un grave limite della politica economica italiana è la pochezza degli investimenti pubblici. Gli investimenti in opere pubbliche hanno una triplice valenza positiva. Sono la più potente leva di sostegno della domanda effettiva. Dischiudono alle imprese economie esterne che innalzano la produttività, riducono i costi. Migliorano il benessere dei cittadini, salvando loro anche la vita.
La Società Italiana soffre da anni su tutti i tre fronti. La domanda globale è, in termini reali, del 9 per cento inferiore ai già bassi livelli del 2007. Nel primo trimestre del 2014 è diminuita di nuovo, smentendo le ottimistiche previsioni dei più, costruite su dati impalpabili. La produttività è debole, nella manifattura situata di un terzo al disotto di quella tedesca. Nel comunicare, nel trasportare, nell’usufruire di utilities e pubblici servizi i produttori sono sempre più svantaggiati. I lavoratori “pendolari”, i viaggiatori, si ammassano su metropolitane, autobus, treni carri-bestiame. Il territorio non è in sicurezza; se piove si muore a Sarno, in Sicilia, nelle Marche, a Genova, altrove. Il Bel Paese, il suo ambiente, è degradato, inquinato. Una meravigliosa città medievale come l’Aquila è ancora in rovine dopo un terremoto che in Giappone avrebbe fatto pochi danni.
Gli investimenti fissi lordi delle pubbliche amministrazioni erano stati pari al 3 per cento del Pil negli anni Sessanta e Settanta del Novecento, al 3,5 per cento negli anni Ottanta. Con quelle cifre si mantenevano le infrastrutture fisiche esistenti e se ne aggiungevano di nuove. Dai primi anni Novanta una tendenza decrescente ha abbattuto il rapporto al 2,5 per cento nella media di quel decennio, al 2,3 nel 2001-2005, sino ai minimi storici inferiori al 2 per cento del 2012-2013. I governi Monti e Letta si sono assunti la pesante responsabilità di tagliare la spesa pubblica per investimenti, in valore assoluto e a prezzi correnti, del 6,4 per cento nel 2012, del 9,2 nel 2013. Con importi tanto esigui le infrastrutture, lungi dal potenziarsi, si deteriorano. Lo scadimento è visibile a occhio nudo, con pregiudizio per l’occupazione, la produttività, il vivere degli italiani.
E’ essenziale che l’investimento pubblico raddoppi, risalga di oltre un punto percentuale rispetto al Pil (almeno al 3 per cento del Pil).
Se L’Europa Dovesse Ostinarsi a non ammettere che questa voce va sottratta al vincolo di bilancio sarà giocoforza rinvenire coperture. Devono in primo luogo derivare da risparmi sugli acquisti di beni e servizi delle pubbliche amministrazioni (che sono pari all’8-9 per cento del Pil); minore inefficienza (riducendo, per dati prezzi, le quantità inutilmente acquisite) e soprattutto minori prezzi (escludendo, per dare quantità, i fornitori più esosi, cacciatori/bracconieri di rendite).
L’impulso recato alla produttività sarebbe duplice: indotto nel settore privato, diretto nel settore pubblico. L’effetto netto sulla domanda globale sarebbe pur esso positivo. Il moltiplicatore dei maggiori investimenti pubblici supera il “demoltiplicatore” della minore spesa per consumi pubblici “intermedi”. La domanda migliorerebbe persino nel caso estremo, malaugurato, in cui l’investimento aggiuntivo dovesse finanziarsi con inasprimento della già elevatissima e sperequata tassazione.
Lo Sgravio Fiscale dei redditi da lavoro appena decretato è fondato sulla confusione fra propensione al consumo “media” (alta) e “marginale” (bassa) dei salariati. Lo sgravio non rilancia la complessiva spesa per consumi (precipitata del 7 per cento nel 2011-2013): è piccolo (decimi di Pil); è in parte annullato da altre imposte; è percepito come temporaneo, non permanente; coincide con erosione dei patrimoni, che sollecita risparmio degli stessi lavoratori per ricostruirli; coincide con i timori, di genitori e figli, per una disoccupazione che monta.
Per i suoi effetti sul benessere dei cittadini, sulla produttività, sulla domanda globale la spesa per opere pubbliche dovrebbe avere priorità rispetto al sostegno diretto del reddito delle famiglie, volto all’improbabile rilancio dei loro consumi.
Pierluigi Ciocca – L’espresso 5 giugno 2014 –

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