Ma quali consumi,
bisogna investire
Lo Stato deve tornare a
spendere di più creando opere pubbliche che hanno un triplice beneficio sul
Paese.
E migliorano il
benessere di tutti i cittadini
Un grave limite della politica economica italiana è la
pochezza degli investimenti pubblici. Gli investimenti in opere pubbliche hanno
una triplice valenza positiva. Sono la più potente leva di sostegno della
domanda effettiva. Dischiudono alle imprese economie esterne che innalzano la
produttività, riducono i costi. Migliorano il benessere dei cittadini, salvando
loro anche la vita.
La Società Italiana soffre da anni su tutti i tre
fronti. La domanda globale è, in termini reali, del 9 per cento inferiore ai
già bassi livelli del 2007. Nel primo trimestre del 2014 è diminuita di nuovo,
smentendo le ottimistiche previsioni dei più, costruite su dati impalpabili. La
produttività è debole, nella manifattura situata di un terzo al disotto di
quella tedesca. Nel comunicare, nel trasportare, nell’usufruire di utilities e
pubblici servizi i produttori sono sempre più svantaggiati. I lavoratori
“pendolari”, i viaggiatori, si ammassano su metropolitane, autobus, treni
carri-bestiame. Il territorio non è in sicurezza; se piove si muore a Sarno, in
Sicilia, nelle Marche, a Genova, altrove. Il Bel Paese, il suo ambiente, è
degradato, inquinato. Una meravigliosa città medievale come l’Aquila è ancora
in rovine dopo un terremoto che in Giappone avrebbe fatto pochi danni.
Gli investimenti fissi lordi delle pubbliche amministrazioni
erano stati pari al 3 per cento del Pil negli anni Sessanta e Settanta del
Novecento, al 3,5 per cento negli anni Ottanta. Con quelle cifre si mantenevano
le infrastrutture fisiche esistenti e se ne aggiungevano di nuove. Dai primi
anni Novanta una tendenza decrescente ha abbattuto il rapporto al 2,5 per cento
nella media di quel decennio, al 2,3 nel 2001-2005, sino ai minimi storici inferiori
al 2 per cento del 2012-2013. I governi Monti e Letta si sono assunti la
pesante responsabilità di tagliare la spesa pubblica per investimenti, in
valore assoluto e a prezzi correnti, del 6,4 per cento nel 2012, del 9,2 nel
2013. Con importi tanto esigui le infrastrutture, lungi dal potenziarsi, si
deteriorano. Lo scadimento è visibile a occhio nudo, con pregiudizio per
l’occupazione, la produttività, il vivere degli italiani.
E’ essenziale che l’investimento pubblico raddoppi, risalga
di oltre un punto percentuale rispetto al Pil (almeno al 3 per cento del Pil).
Se L’Europa Dovesse
Ostinarsi a non
ammettere che questa voce va sottratta al vincolo di bilancio sarà giocoforza
rinvenire coperture. Devono in primo luogo derivare da risparmi sugli acquisti
di beni e servizi delle pubbliche amministrazioni (che sono pari all’8-9 per
cento del Pil); minore inefficienza (riducendo, per dati prezzi, le quantità
inutilmente acquisite) e soprattutto minori prezzi (escludendo, per dare
quantità, i fornitori più esosi, cacciatori/bracconieri di rendite).
L’impulso recato alla produttività sarebbe duplice: indotto
nel settore privato, diretto nel settore pubblico. L’effetto netto sulla
domanda globale sarebbe pur esso positivo. Il moltiplicatore dei maggiori
investimenti pubblici supera il “demoltiplicatore” della minore spesa per
consumi pubblici “intermedi”. La domanda migliorerebbe persino nel caso
estremo, malaugurato, in cui l’investimento aggiuntivo dovesse finanziarsi con
inasprimento della già elevatissima e sperequata tassazione.
Lo Sgravio Fiscale dei redditi da lavoro appena
decretato è fondato sulla confusione fra propensione al consumo “media” (alta)
e “marginale” (bassa) dei salariati. Lo sgravio non rilancia la complessiva
spesa per consumi (precipitata del 7 per cento nel 2011-2013): è piccolo
(decimi di Pil); è in parte annullato da altre imposte; è percepito come
temporaneo, non permanente; coincide con erosione dei patrimoni, che sollecita
risparmio degli stessi lavoratori per ricostruirli; coincide con i timori, di
genitori e figli, per una disoccupazione che monta.
Per i suoi effetti sul benessere dei cittadini, sulla
produttività, sulla domanda globale la spesa per opere pubbliche dovrebbe avere
priorità rispetto al sostegno diretto del reddito delle famiglie, volto
all’improbabile rilancio dei loro consumi.
Pierluigi Ciocca – L’espresso 5 giugno 2014 –
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