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domenica 1 giugno 2014

Lo Sapevate Che: Le Timide Verità di Un Genio ....




Schivo, antieroico, all’apparenza remissivo, ma caustico era l’antitesi dei cliché partenopei. A vent’anni dalla morte prematura, un grande scrittore suo conterraneo ricorda Massimo Troisi

“Le cose o si fanno il giorno dopo
O non si fanno affatto

Voi diete in tanti a scrivere e io sono solo a leggervi: così Massimo Troisi spiegava col sorriso lo sgomento di un lettore davanti alla vastità della produzione letteraria.
Lo scrittore, categoria commerciale alla quale partecipo quando non sono lettore, si trova spesso in una sala davanti a persone venute per ascoltare. Si trova al centro dell’attenzione di orecchie ben disposte, che si sono spostate da casa, che hanno interrotto le loro attività per venire all’incontro.
Guai a lui se crede che sia quello il rapporto tra chi scrive e chi legge: lui sul podio e gli altri a fare pubblico. Il vero rapporto tra lettore e scrittore non si svolge in un appuntamento letterario. Sta invece nella libreria, dove gli scrittori sono la folla e il lettore è l’autore della propria scelta tra di loro. In libreria il lettore passa in rassegna banconi e scaffali dove gli scrittori con i loro libri sono ammucchiati in ordine alfabetico, come a scuola, o alla rinfusa come dal rigattiere.
Voi siete in tanti a scrivere e io sono solo a leggervi, questa battuta di Massimo Troisi fissa il giusto rapporto tra lettore e scrittori. A venti anni dalla sua continua mancanza, restano incise nel labirinto dell’orecchio alcune sue battute, le sue miti e ammaccate prese in giro.
San Giorgio a Cremano, dov’è nato, è un centro vesuviano che sta sulla linea Napoli Portici, prima ferrovia d’Italia al tempo in cui gli Svizzeri facevano gli emigranti a Napoli, lavorando da cuochi, pasticcieri, orologiai. Sotto la verticale del cratere San Giorgio a Cremano appartiene alla catena mondiale degli abitanti di azzardo. Hanno in comune l’alzata gli occhi al cielo non per richiesta di raccomandazione, ma per richiesta di minaccia. Risentono di una comune inferiorità fisica a ridosso dell’immenso, che infiltra allarmi nel sistema nervoso. I vulcani collegano il sottosuolo al cielo.
Massimo Troisi è un Vesuviano, denominazione che contiene Napoli e dintorni. La sua voce remissiva, nasale, da adenoidi, è priva di qualunque sfumatura di aggressività. E’ perciò opposta, nel modo più militante, a quella del guappo, del soldato di camorra, figura dominante sotto il  Vesuvio negli anni Ottanta. Il conflitto militare tra la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo e il resto della malavita fatturava centinaia di ammazzati all’anno. Circolava anche la tariffa a buon mercato per un omicidio:500 mila lire (250 euro). La battaglia proseguiva dentro le prigioni: durante il terremoto dell’80 a Poggioreale il mattatoio raggiunse anche l’infermeria.
A contrasto della cronaca infame si agitava il prodigioso piede sinistro di un argentino arrivato a Napoli come risarcimento per i milioni di nostri sbarcati a Buenos Aires. All’attivo c’era qualche musicista, esorcista del diavolo in corpo alla città, che usava lo stesso terreno di gioco per i suoi concerti.
E c’era Troisi con il suo tiro La Smorfia, scomposto più che composto da De Caro e Arena. Quei suoi primi testi facevano ridere perché si addossavano le debolezze, le omissioni, le vigliaccherie di un popolo sotto ringhio di sottosuolo e di camorra.
Quando il Napoli vinse il suo primo scudetto grazie all’America del Sud, alcuni rappresentanti del movimento separatista sub elvetico esposero uno striscione che assegnava al Napoli lo scudetto del Nordafrica. In televisione all’epoca c’era la qualità eccellente di giornalisti come Gianni Minà che andò a intervistare Troisi sullo scudetto vinto. Alle domande di un suo commento su quello striscione, la risposta fu: “Preferisco essere campione di Nordafrica anziché scrivere striscioni da Sudafrica”. A quel tempo Nelson Mandela era un terrorista imprigionato a vita e al potere in Sudafrica c’era il più esplicito razzismo del mondo.
Troisi è stato un solista, anche quando era con Benigni. Non formarono un duo comico, nessuno era spalla dell’altro. Coincidevano sulla scena, ma ognuno era per sé. E il per sé di Troisi era per me schiacciante.
Negli anni mi capita di tornare a lui in occasione di vicende napoletane. Cosa se direbbe, con quale scatto ne uscirebbe? Pure tirando a indovinare, cercando nella sua scia la battuta adeguata, ammetto puntualmente che mi manca. Perché non era solo arguzia spiritosa, ma uno scatto sentimentale sotto la forma della presa in giro. Riconosco in lui l’indignazione, ma quella che scansa la facile invettiva e si raffina invece in ironia dolente.
Ultimo esempio: raccontò che il capo della Lega Nord rischiava l’espulsione dal partito perché in casa gli avevano trovato un disco di Peppino di Capri, con dedica per giunta.
Eduardo eseguì una leggendaria pernacchia, con tanto di istruzioni per l’uso. Troisi ha sciolto quella pernacchia in pillole omeopatiche. Invece di scorticare, fanno del bene ai muscoli facciali, stesi nella gratitudine di un sorriso.
Erri De Luca – Venerdì di Repubblica – 30 maggio 2014 –

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