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giovedì 1 maggio 2014

Pensieri: Primo Maggio italiano...



  
Primo Maggio italiano
Da Portella della Ginestra al concertine rock

Data sanguinosa alle origini, ma presto simbolica-redentrice per buona parte del
Pianeta, unico vero manifesto socialista del ventesimo secolo, il Primo Maggio
oggi nel mondo sopravvive a se stesso più per inerzia che per convinzione.
Per esempio in Italia, dove da parecchio tempo si celebra con un concerto che cerca, di stare al passo con il festival di San Remo. Ci si riferisce, ormai da parecchio tempo, ad un lavoro che c’è sempre meno e che ha sempre meno diritti, lo amministra un sindacato stanco di tirare la carretta, conscio che i suoi tempi sono finiti, che il futuro non gli appartiene. Essendo la sua grande impresa strategica quella di limitare le perdite e far finta di non invecchiare, riesce, spesso, a farlo con grazie. Nel primo maggio italiano di oggi, quello che i sindacati chiedono è soprattutto clemenza e dignità, ben sapendo che il lavoro – diritti, doveri, emancipazione e partecipazione solidale – è un obiettivo irrealizzabile. Nella disperazione crescente variopinto e tristissimo (forse ancora di più del concertine di piazza San Giovanni) è il Primo Maggio alternativo che da parecchi anni si celebra a Milano, al seguito del simulacro di San Precario, la vera icona pop della gioventù che, appunto, non ha e non vuole un sindacato.
Dagli annali. Il primo maggio, inventato per celebrare la giornata lavorativa di otto ore, bagnata dal sangue degli operai di Chicago, dilagò fin dalla fine dell’Ottocento in Europa come emblema del socialismo. Lenin lo glorificò. L’America non lo adottò. Mussolini lo vietò nel 1923, e mise fuori legge i sindacati. (Stessa cosa fece Hitler nel 1933). La liberazione in Italia risistemò il primo maggio al suo posto nel 1945 e l’accoppiata 25 aprile- primo maggio ha resistito finora come un uno-due laico e progressista, anche durante il ventennio berlusconiano.
Fra tutti i primi maggi italiani, rimane inevitabile impresso quello che si svolse nella più lontana periferia del nostro paese nel lontano 1947, all’indomani delle prime libere elezioni dopo il fascismo. Il luogo era esotico e poetico, una specie di posto delle fragole incantato, con colossali menhir sopra tappeti di fiori selvatici: Portella della Ginestra. Qui, per antica tradizione i braccianti della provincia di Palermo, uniti in sindacato, venivano ad ascoltare (anche quando il fascismo glielo vietò) le pugnaci parole di un medico italo-albanese, Nicola Barbato, socialista, che parlava dall’alto di un sasso, che prese il nome appunto di “ sasso di Barbato”. E così fecero il primo maggio del 1947, quando – in un grande picnic che festeggiava la (inaspettata) vittoria elettorale delle sinistre in Sicilia – furono fatti oggetto della famosa strage.
I quindici minuti del film di Francesco Rosi su quell’evento fondante della nostra Repubblica, tratti dal film Salvatore Giuliano, il suo capolavoro, del 1962, sono visibili a tutti su You Tube. Ma probabilmente sarebbero considerati una faziosa anacronistica, intromissione se fossero proiettati in piazza san Giovanni per il concertone del primo maggio di 67 anni dopo.
Enrico Deaglio – Venerdì di Repubblica – 1 maggio 2014

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