Milano, la nostra
Macondo:
chi dimentica il
passato è condannato a riviverlo
Chi non ricorda il
passato è condannato a ripeterlo. Ecco un principio che bisognerebbe inserire
nella Costituzione, magari al posto dell’insensato pareggio di bilancio. Siamo
ormai diventati come la Macondo di Gabriel Garcia Marqeuz. Una landa sudamericana che dimentica
di continuo le cose più familiari ed è costretta a darle nuovi nomi, in genere
i nomi nuovi sono in inglese, che è sempre sintomo di fregatura.
Dopo che nuova Tangentopoli milanese ha riproposto gli
antichi nomi di Gianstefano Frigerio e di Primo Greganti, proprio come accade
in Columbia o Ecuador, dove i politici condannati tornano sempre sulla scena
del delitto, è partita la “task force”, con tanto di commissario
anticorruzione. Ma che senso ha farlo dopo gli arresti e con le indagini già
quasi concluse e non prima, quando sarebbe utile che un commissario governativo
anticorruzione vigilasse su appalti ne nomine?
Da anni i giornali
scrivono sulle cifre folli dell’Expo e, ben prima che partissero le inchieste,
la Corte dei Conti ha avvertito del pericolo di malaffare anche mafioso.E poi
c’è la storia che nessuno mai ricorda. Da trent’anni i grandi eventi,
presentati come occasioni storiche per il rilancio dell’economia e per la
creazione di posti di lavoro, si risolvono puntualmente in orge spartitorie che
lasciano voragini nei conti pubblici e opere inutili o mal realizzate. E’
andata così per il Mondiale di calcio e per quello di nuoto, per le Olimpiadi
di Torino, per gli eventi fatti e per quelli soltanto immaginati, come il
famigerato GB alla Maddalena. Eppure nessuno ha voluto istituire fin dal
principio un’autorità di controllo per l’Expo, che davanti agli occhi di tutti
è stato gestita, per usare le parole di Sergio Rizzo, “come una fiera di paese,
soltanto per spartire posti e affari”.
Il particolare che i partiti usassero i decani il Frigerio e
Greganti, in pista dai tempi di Dc e Pci, è significativo. Se mandi un Frigerio
o un Greganti da un imprenditore a discutere di appalti pubblici, non c’è
neppure da spiegargli come può ottenerli. L’hanno scritto nell’insegna, come
“facciamo cioccolata dal 1812”, o “premiata forneria dal ‘25”. E non ci sono
soltanto loro. Se si controlla fra gli iscritti dei partiti, rispuntano uno per
uno, nessuno escluso, i mille condannati di Mani pulite, tutti tornati a “far
politica”. Tanto poi a Macondo nessuno più ricorda di averli rivisti e
frequentati.
Curzio Maltese – Venerdì di Repubblica – 23 maggio 2014
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