Piccola pausa dalla
politica:
stavolta parliamo dei
gufi e della loro ingiusta nomea
Gentile dottor Serra,
per una questione di giustizia vorrei segnalare l’uso improprio e ingiusto del
termine “gufo”. Tutti gli strigidi, di cui il gufo è uno splendido
esponente,sono protettori di campo, granai, boschi, tenendo controllato il numero dei roditori che possono
infestarli. Parente stretta del gufo è la civetta, il cui nome scientifico è Athene noctua in quanto animale simbolo
di Atena, dea della saggezza. Per ultimo, ma non ultima cosa, il gufo, come
tutti gli strigidi, fa sentire il suo canto solo ed esclusivamente come
richiamo nella stagione degli amori. A mio parere è limitato e non corretto
usare il termine gufo come portatore di sfortune.
Tutto questo sarà poco attinente alla questione politica, ma
vista la sua sollecitazione a maggiore cognizione di causa ritengo che anche i
gufi hanno diritto alla verità. Sempre con affetto e stima.
Nonna Mirella
Cara Mirella, spero che i lettori non si arrabbino se lei, io
e gli strigifi rubiamo un poco poco di spazio ai tormenti politici e alle
angosce sociali. Per me parlare di animali e di natura è un piacere e una
consolazione, e mi sgomenta scoprire che non solo il gufo e la civetta, ma il
mondo naturale nel suo insieme è oggetto di misconoscenza e rimozione: ci
viviamo nel mezzo ignari della sua potenza e del suo funzionamento.
Come lei, ho un debole per i rapaci notturni, specialmente il
fantasmatico barbagianni quando attraversa la notte silenzioso e candido. Nel
Nord Europa gufi e civette sono considerati messaggeri di fortuna, la serie di
Harry Potter lo conferma. Siamo noi popoli meridionali ad avere demonizzato ciò
che le saghe nordiche angelizzano, solo da noi la civetta è foriera del
malocchio. Avendo il privilegio di non credere nel malocchio (in alcuna forma),
l’incontro con un rapace notturno mi rallegra sempre: e perfino il petulante
richiamo dell’assiolo, a partire da questi giorni e fino all’estate, mi fa
pensare con gratitudine e confidenza a madre natura.
Michele Serra – Venerdì di Repubblica – 16 maggio 2014
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