Scriveva Kant: “La
ragione è un’isola piccolissima nell’oceano dell’irrazionale”
Molta parte della sinistra progressista è convinta che se le
masse fossero informate delle malefatte del potere avrebbero occasione di
rivedere il proprio consenso. In realtà, la gente non funziona così.
Giorni fa, a una nonna che accompagnava i nipotini in
parrocchia, rappresentai le mie perplessità sull’opportunità di far avvicinare
i bambini dai preti. La nonna sorrise e mi raccontò che da bambina, qualcosa di
sgradito era capitato anche a lei. Malgrado la sua esperienza personale, però,
la sua fiducia nei preti rimane immutata. Alle mie richieste di spiegazione, mi
accusò di non essere un credente e allora capii che stavo usando un metro
diverso dal suo: la ragione.
La mia estraneità alla fede l’assolveva dall’irragionevolezza
della sua scelta.
Altro esempio: malgrado le giudiziarie su come vengono
truccati gli esiti delle partite di calcio, i tifosi continuano ottusamente a
tifare per la loro squadra come se in campo si svolgesse una vera contesa.
Se uno zingaro è sorpreso a rubare, si generalizza e si dice
che gli zingari rubano e rapiscono i bambini. Ma se si vendono le partite, la
fede nel calcio non crolla.
Le ultime elezioni, infine, hanno dimostrato come, malgrado
la massiccia conoscenza delle devianze della classe politica che ha governato
il Paese negli ultimi decenni, agli stessi personaggi impresentabili milioni di
italiani hanno confermato il consenso.
Questi esempi dimostrano come sia infondata e illusoria la
convinzione che la conoscenza apra gli occhi e ridesti la ragione dal sonno
dell’inganno.
A quanto pare la massa brama l’inganno, vi si affeziona e non
vuole avere la conoscenza della realtà.
Costantino Dilillo
Tutto ciò che coinvolge il mondo emotivo ha una forza
decisamente superiore alle regole della ragione. Al mondo ammettere che, come
ognuno sa, non sente ragioni, la fede che garantisce un’appartenenza, offre una
speranza, una consolazione nel dolore, addirittura una vita oltre la morte.
Nel mondo emotivo affondano le proprie radici il tifo per una
squadra, la passione per un partito, persino l’indiscutibilità di un’idea, la
fascinazione di un leader carismatico, l’intolleranza per lo straniero, i
pre-giudizi (che sono giudizi fatti prima di ragionare) nei confronti degli
omosessuali, dei malati di mente, di quanti invocano la pena di morte.
L’umanità si è progressivamente emancipata dal mondo emotivo
solo in minima parte e con estrema lentezza. Non avremmo una storia piena di
guerre, di soprusi, di congiure e di delitti se la ragione avesse governato la
relazione tra i popoli e i conflitti di potere. Il governo della ragione, che
Platone in ogni suo scritto sollecita, invitando al controllo delle passioni, è
un percorso lentissimo che passa attraverso l’educazione da impartire ai
giovani nella prima parte della loro vita, affinchè acquisiscano strumenti per
comporre controversie e gestire conflitti con la discussione argomentata invece
che con la violenza. Così in Grecia nacque la democrazia, sostenuta dai
filosofi, contro retori e sofisti che ottenevano consensi non con la libera
discussione dei diversi pareri, ma con espedienti retorici, frasi ad effetto e
mozione degli affetti.
Quando la retorica vince sulla democrazia, la ragione perde
terreno, e lo spazio lasciato vuoto viene occupato dalle emozioni, che
scatenano rabbia e idolatria verso quelle figure carismatiche che sanno
raccoglierle e soddisfarle. Parlando alle emozioni le persone carismatiche
ottengono un consenso immediato, perché evitano le pratiche della ragione che
richiedono competenza, attento esame delle situazioni che, soprattutto in una
società complessa come la nostra, sono molto più complicate delle facili
soluzioni, a cui in modo acritico, l’emozione, senza mediazioni razionali,
immediatamente aderisce.
Le sue opportune osservazioni lasciano facilmente capire come
l’apparato emozionale, e non quello razionale, governi ancora il nostro modo di
vivere e, mi permetta anche di dire, di fare politica. Ma perché la ragione
possa avere il primato sull’emozione occorre scuola, istruzione, educazione,
cultura, informazione, tutte cose che richiedono tempi lunghi, e che, quando
sono trascurate, preparano il declino, spesso irreversibile, di una nazione.
umbertogalimberti@repubblica.it
– Donna di Repubblica – 20 aprile 2013
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