Carceri disumane
Paese incivile
Tra pochi giorni sarà
esecutiva la condanna europea per le condizioni inaccettabili delle prigioni
italiane. Una vergogna a cui nessun governo ha saputo dare una risposta-
Bisogna rimediare: introducendo il reato di tortura
In Italia manca un reato fondamentale: il reato di tortura.
Ci tutelerebbe tutti, non solo chi subisce e chi ne è accusato ingiustamente.
Non solo chi la pratica senza essere responsabile e chi ne è vittima dopo
essere stato carnefice e per questo, l’uno e l’altro, vivono l’inferno in
terra. L’introduzione della nostra esistenza civile – dell’esistenza di tutti –
in un paese dove da lungo tempo lo stato di diritto latita. Ma se il primo
impunito torturatore è proprio lo stato italiano, probabilmente dovremo
rassegnarci a vivere una condizione di perenne illegalità.
Vi racconto una storia che avrete sentito mille volte. Una
storia che alcuni non vorranno ascoltare di nuovo. Una storia che chi governa o
vorrebbe governare non ama si racconti. Una storia che tutti vorremmo non
esistesse. Ma che esiste, e dobbiamo farci i conti. E facciamoli i conti
allora. Nelle carceri italiane ci sono
poco più di 40mila posti disponibili per oltre 60mila detenuti. Questo
sovraffollamento insostenibile determina condizioni igienico-sanitarie
disumane. I suicidi tra i detenuti, ma anche tra gli agenti di polizia
penitenziaria sono frequentissimi. Non esiste rieducazione possibile solo
ulteriore violenza e solo un abbruttimento peggiore. Ci si domanda: un sistema
carcerario che funziona in questo modo, anche nel suo complesso non funziona
affatto, a chi giova? Accresce forse la sicurezza dei cittadini? Scoraggia chi
ha compiuto un crimine dal delinquere ancora? Naturalmente no.
Un Vergognoso Primato tutto italiano, quello per
violazione dei diritti umani. Che non genera le reazioni sperate nemmeno quando
la condanna viene da lontano. La Cedu, la Corte Europea per i Diritti Umani, a
gennaio 2013 condanna l’Italia a pagare un risarcimento complessivo di oltre
100mila euro ad alcuni ex detenuti (tra cui Mino Torregiani da cui il nome
della sentenza) per le condizioni di detenzione a Busto Arsizio e Piacenza.
Torregiani ha dovuto condividere uno spazio di nove metri quadrati con due
compagni di cella spesso senza acqua calda, in condizioni che la Cedu ha
ritenuto al limite con la tortura. A me non interessa chi sia Mino Torregiani e
perché sia stato condannato: in galera doveva essere privato di una unica cosa,
la libertà. E non – come accade nella stragrande maggioranza delle carceri
italiane – anche della dignità. La Cedu condanna l’Italia per violazione
dell’articolo 3 della Convenzione europea sui diritti umani, che vieta la
tortura o il trattamento disumano o degradante. E la condanna è tanto più dura
perché non si riferisce a casi isolati, ma al sistema nel suo complesso.
La Risposta Dell’Italia fu vergognosa: il governo presentò
un ricorso all’unico scopo, si disse, di guadagnare tempo per poter finalmente
prendere in considerazione una riforma della giustizia che partisse proprio
dall’emergenza carceri. Da maggio 2013 a maggio 2014 l’Italia aveva un anno per
mettere mano al sistema carceri ed evitare che Strasburgo accogliesse le
centinaia di ricorsi già pendenti di detenuti ed ex detenuti, con conseguente
condanna a risarcimenti milionari. Naturalmente nulla è cambiato. Nel frattempo
si sono avvicendati i governi e non c’è stato tempo, pur volendo, di fare
nulla. E la prepotente urgenza di cui parlava il Presidente Napolitano nel 2011
si è ulteriormente aggravata. Io non posso fare a meno di contestare, ancora
una volta, a chi dice che occuparsi delle condizioni dei detenuti sia una
perdita di tempo, che dallo stato delle carceri si misura il grado di
democrazia e di civiltà di un paese. Ce
lo dicono i conti che non vogliamo fare, ce lo dice Strasburgo, ce lo dice la
crescita economica del nostro paese, pressoché inesistente, che dove non vige
lo stato di diritto anche per chi ha sbagliato, non vige per nessuno. Le
carceri non sono le case degli ultimi, non sono luoghi in cui vorremmo
archiviare la monnezza. Le carceri sono il futuro da cui ripartire.
Riprendiamoci chi ha sbagliato, rieduchiamoli, reinseriamoli. Non lasciamoli in
balia delle organizzazioni criminali. Se il carcere diventa questo, allora fare
i conti, anche quelli più difficili, inizierà a piacerci.
Roberto Saviano- L’Espresso – 22 maggio 2014
Nessun commento:
Posta un commento