Così finanziano i
giovani altrui
Centinaia di milioni di euro che il contribuente
italiano versa alla voragine
tecnocratica di Bruxelles, ben mezzo miliardo non ritorna nel nostro paese per
la ricerca. Non è una novità, di per sé. Quando ero Presidente della storica e
bellissima Stazione Zoologica di Napoli Anton Dohm me lo rinfacciava sempre il
ministro Francesco Profumo, che diligentemente riuniva con cadenza mensile gli
11 presidenti degli enti di ricerca pubblica.
Ma il recente seminario all’Accademia dei Lincei tenuto da
Adriano Zecchina (Università di Torino) sul modo in cui l’Italia è finanziata
dal European Research Council ha destato un generale sgomento. I nostri giovani
ricercatori attraggono molte meno risorse di quelli più maturi: con buona pace
della ministra Marianna Madia che speriamo eviti precipitosi prepensionamenti
di capaci attrattori di fondi europei. Ma come mai questo accade? Perché i
giovani sono meno capaci e attivi? O perché i migliori di loro sono già
“cervelli fuggiti” all’estero? Non credo affatto sia così. Certamente, lavorare
in laboratori spogliati di attrezzature non obsolete, con reagenti a basso
costo, banconi e stabulari fatiscenti rende patriottici ma non necessariamente
produttivi e competitivi i nostri under35 o under40 che faticano nel Bel Paese.
E’un altro fattore a rendere profondamente e esplosivamente deboli i giovani.
L’infinito precariato crea danni esistenziali e professionali. Appartenere “a
tempo determinato” a una istituzione senza mai riuscire a entrare in quella
università o istituto scientifico dove si lavora dai 10 o 15 anni fa davvero
male. Al cuore, alla mente. Ed evidentemente nuoce anche sul fronte della
capacità di inciare progetti competitivi in Europa.
E così i soldi degli italiani se li divorano i ricercatori
britannici (da sempre), olandesi (allevatori lesti di un’aggressiva e vorace
leva di scienziati-manager) e i tedeschi.
Socio Accademia dei
Lincei
Enrico Alleva – L’Espresso – 24 aprile 2014
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