La scuola e gli
insegnanti hanno il dovere di ridare ai giovani la speranza mostrando la
seduzione della cultura e delle idee, fuori dalla vita virtuale
Sono un insegnante di un liceo scientifico di Catania e mi
interrogo sulla distanza che avverto tra le vite reali dei miei studenti e le
loro vite virtuali. “Non sopraffare la libertà dell’altro”, “Impara ad
ascoltare le parole e i silenzi, leggi negli occhi di chi ami”, “Non lasciare
spazi al dolore delle altre persone. Mai complici del dolore”. Non smettere mai
di avere cura di chi ami”. “Ognuno ama con la propria testa e con il proprio
cuore: non possono esserci regole per tutti”.
Sono alcune delle frasi scritte dai miei alunni e dalle mie
alunne dopo la lettura del De Amore
di Andrea Cappellano e della Vita Nova
di Dante. Una settimana di lezioni dedicate al tema. Mi emozionano le loro
parole, e il pudore di alcuni di loro che le leggono con i visi in fiamme
conforta il mio lavoro di insegnante. So bene che sono solo frammenti, schegge
impazzite, ma pur sempre vere e forti, di un percorso assolutamente
accidentato, perché tra poco i miei studenti ritorneranno al silenzio delle
parole e delle anime, servi-padroni di tecnologie, indisponibili a mettersi in
discussione e ad analizzarsi, fintamente spavaldi e aggressivi o in pose black,
appiattiti su modelli di gregari età dal multiforme aspetto. Li osservo, qua e
là, su Facebook: emoticon a tempesta e parole poche e stereotipate, turpiloquio
che diluvia, dichiarano amore attingendo immagini e parole da pagine ad hoc
costruite da altri, uguali per tutti, sparano infinità di “mi piace” sul nulla
che scorre; si fotografano spezzettati: l’occhio super truccato, la scollatura
zoomata, i bicipiti superpalestrati, l’unghia lunga multicolore uncinata.
Stento a ritrovarli, a riconoscerli. Stentano anche i loro genitori, spesso
disorientati o del tutto inconsapevoli dei percorsi dei propri figli. Genitori
fragili di autorevolezza, sia che siano distratti e distanti sia che vogliano
difenderli a ogni costo da tutto, quasi per principio. Ripartiamo dal dare
valore alla scuola, solleviamola dall’accanimento dei tagli di spesa, dei tagli
alle ore; che sia il centro di forze convergenti, di sforzi culturali oltreché
economici. Per un semplice motivo: a scuola i nostri difli si costruiscono,
parlano anche d’amore e riflettono su se stessi. Recuperano le loro vite reali.
Pina Arena
Mi spiace aver dovuto tagliare questa lettera che fotografa
perfettamente la condizione in cui vivono i giovani d’oggi, scissi tra sentimenti
autentici ispirati dalla cultura umanistica, quando un insegnante li sa
proporre fino a smuovere in profondità l’opacità delle loro anime, e forme di vita
in autentica, mediata da una tecnologia che li adesca, sollecitando i
bassifondi più truci che pure albergano in ciascuno di noi. Dove li porterà
questa scissione in un’epoca come la nostra dove sono crollate non solo le
regole della morale, ma anche quelle del decoro. Come faranno a distinguere il
bene dal male, il giusto dall’ingiusto, il vero dal falso se il tempo che
passano nel mondo virtuale supera di gran lunga il tempo trascorso nel mondo
reale, decisamente meno allettante di quello virtuale ?
Oggi la scuola ha un compito decisamente più importante e
impegnativo di un tempo. Deve far apparire il mondo reale più affascinante di
quello virtuale. Impresa ciclopica, che può avvenire solo a scuola, con
professori carismatici, che sappiano catturare gli studenti in quella terra di
emozioni dove di fatto si trovano, e da lì far nascere il gusto per le idee che
sono l’unico argine alla dispersione incontrollata dell’energia giovanile. La
famiglia è impotente perché, dopo i 12 anni, le parole dei genitori appaiono
parole vane che non incidono più. E se anche quelle degli insegnanti sono
appassite e spente, speranze non se ne danno più.
Se l’istruzione è l’unica diga alla dispersione, allora la
scuola va sostenuta non solo economicamente, ma anche con un’adeguata selezione
degli insegnanti, misurata non solo sulla loro cultura, ma sulla loro capacità
di dire parole che i ragazzi sentono come vere e, a partire da quelle,
incominciano a pensare e a bilanciare la seduzione del virtuale con la
seduzione delle idee che hanno interiorizzato e che fanno il controcanto al
canto delle sirene del mondo virtuale. Altra via non c’è. E, smarrita questa,
altre non se ne danno. Il Ministero dell’Istruzione questa responsabilità la
deve sentire, e perciò deve smettere di inondare la scuola di burocrazia a
scapito di buoni maestri. Il virtuale ha cambiato il mondo, e che fa il
Ministero? Riempie le scuole di computer e iPad? Ma non sa che gli studenti li
conoscono meglio dei loro professori?
umbertogalimberti@repubblica.it
– Donna di Repubblica – 3 maggio 2014
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