I fasti passati di
Milano dove i giovani stanno
a casa e l’Expo è in alto mare
Nella Milano in cui
sono cresciuto non lavorare era uno stato d’eccezione e in genere passeggero,
per quanto sempre devastante. Sono stato disoccupato a vent’anni per cinque o
sei mesi al massimo, fra le dimissioni in fabbrica e l’assunzione a La Notte come
cronista, e mi sentivo già un fallito, passavo il pomeriggio a fingere di avere
impegni per non dire la verità a mi madre. Fra l’altro, davo comunque gli esami
all’università. Oggi a Milano incontro donne e uomini di trent’anni che
lavorano soltanto cinque o sei mesi, quando va bene, e sono ormai rassegnati a
una vita di precariato.
Milano era il regno delle opportunità, un pezzo d’America in
Italia si diceva allora. E ora è una trappola dalla quale i giovani migliori
scappano all’estero. Il ceto medio più moderno e vitale d’Italia, il nerbo di
una città piena di carattere, si è impoverito e immalinconito come del resto
del Pese. I licenziamenti quest’anno in Lombardia sono aumentati del 45 per
cento, la cassa integrazione del 78. La capitale del Berlusconismo è diventata
il simbolo del suo fallimento. E Milano “vicina all’Europa”, come cantava Lucio
Dalla, incarna oggi il disastro dell’Unione. L’ultima storia è quella degli
aeroporti. L’Ue prevede 452 milioni di multa per i pasticci contabili delle giunte comunali di
destra, azioniste di maggioranza della Sea po
ek2015sull’ExHanding. Ma il vero obiettivo della guerra fra l’Ue e gli
aeroporti milanesi è la privatizzazione delle società, omaggio all’ideologia
liberista dominante a Bruxelles- A pagare il conto finale saranno i 2.300
dipendenti, che hanno già ricevuto la lettera di licenziamento, con la promessa
di un altro posto. Quando, dove e quanti, non si sa.
Il Sindaco Pisapia, il migliore capitato negli ultimi
trent’anni fra tante macchiette e tele venditori, cerca una soluzione
difficile, ma la crisi degli aeroporti è un’altra pesante tegola sull’Expo
2015. A pochi mesi dall’inaugurazione, oltre la metà dei lavori è in alto mare
e la magistratura indaga sugli appalti dati alla ‘ndrangheta. Ora si aggiunge
il rischio che i visitatori sbarchino in mezzo agli scioperi. Forse era davvero
meglio non fare L’Expo, almeno sarebbe rimasto all’estero, come a noi milanesi
di lungo corso, il ricordo dello splendore. La città continua a perdere
identità e simboli. Da concorrente comunque l’idea che il Corriere della Sera possa traslocare da via Solferino. Eppure qui
le persone sono ancora straordinarie, la voglia di fare non manca, le scuole
funzionano ancora nonostante i tagli e arriva un terzo di tutti gli
investimenti stranieri in Italia . Basterebbe poco per ripartire, un po’ di
visione, lo sguardo al futuro.
Curzio Maltese – Venerdì – 1 maggio 2014 -
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