Volete Scoprire
l’America, capirla
davvero? Sceglietevi un cavallo dal carattere affine, come compagno di
avventura. Io lo feci 24 anni fa e il ricordo di quell’esperienza non mi ha più
lasciato. Avvenne in due estati successive, una nel Wyoming e una nel Colorado.
I figli erano piccoli ma sapevano cavalcare. Andammo nei ranch a fare la vita dei
cowboy. Cioè mandriani, allevatori di bestiame. Lascate perdere i film western,
la mitologia o gli stereotipi. I veri ranch cominciarono a praticare
l’agriturismo un secolo fa, molto prima che arrivasse in Europa. Gli americani
delle grandi città che dall’Ottocento hanno perso il contatto con una natura
incontaminata, vanno a cercarlo in questo tipo di esperienze. Sveglia all’alba
e si lavora sul serio: impari manovre difficili, radunare una mandria di
bovini, indisciplinati, metterla in ordine dirigerla verso un pascolo
d’altopiano, poi a fine giornata riportarla dentro i recinti della fattoria.
Per quanto tu sappia cavalcare, non è facile trasformarsi in un “cane pastore”
che va a cercare il vitello avventuroso o smarrito e lo riporta nella retta
via. Poi ci sono le grandi gite a cavallo, per esplorare montagne e foreste,
pianure sterminate, laghi e fiumi. Le nottate in tenda. Le grigliate attorno ai
fuochi di campo. I tramonti e i cieli stellati in luoghi dove civiltà e
tecnologia sembrano irrilevanti. Laddove le praterie del Midwest finiscono e
cominciano le Montagne Rocciose, esiste un’America immensa e selvaggia, una natura
imponente e disabitata. Aiutato dalle letture storiche puoi capire cosa fu
l’odissea dei pionieri (anche nei risvolti feroci come sterminio degli
indigeni). Il rapporto con la natura, quando le dimensioni sono titaniche, è
molto diverso da quello dell’Europa, dove da millenni si coabita su un
continente piccino. In questi viaggi iniziatici, alla scoperta della natura e a
ritroso nel tempo, il cavallo è il partner indispensabile. In molte parti
d’America tuttora si “nasce a cavallo, saper cavalcare è naturale e
indispensabile, un mezzo di locomozione prima che uno sport. Era un po' così
anche nel Nordeuropa dove sono cresciuto da bambino, in Belgio tutti facevamo
equazione, non era uno sport per ricchi. Come nella Camargue francese dove
impararono i miei figli da bambini. Se torno ai ricordi d’infanzia mi sembra di
venire dall’antichità: ho fatto in tempo a conoscere un mondo dove c’era un
ultimo sprazzo di rapporto fra la specie umana e quella equina. Sempre a
Bruxelles abitavo in un quartiere periferico che allora confinava con terre
agricole. La mattina andando a scuola camminavo lungo campi di barbabietole e
vedevo al lavoro i magnifici cavalli da tiro del Brabante, una razza da
esposizione, colossi con muscolature impressionanti. Quando andavo in Italia in
vacanza, negli anni Sessanta vidi trasportare a dorso di mulo i materiali per
costruire la prima stradina asfaltata fino alla villa dei miei nonni in
Liguria; dal lato dei nonni paterni, contadini lombardi, feci in tempo a
conoscere un po' di asini che ci svegliavano ragliando. Il nostro rapporto con
la natura è stato accompagnato da questi animali. Per più di cinquemila anni i
cavalli furono essenziali alla specie umana: hanno accorciato le distanze, ci
hanno consentito di esplorare e conquistare il pianeta, purtroppo anche di
massacrarci nelle guerre. Nell’anno 1900 la sola città di New York era
attraversata quotidianamente da 130mila cavalli impegnati in ogni tipo di
lavoro. Durante la guerra di secessione, carneficine umane fu terrificante,
600mila morti. Di cavalli morirono più del doppio. Oggi ne rimangono pochi:
cercate di passare un’estate in sella a uno di loro come guida e compagno di
viaggio, prima che sia troppo tardi.
Federico Rampini – Donna di La Repubblica – 3 marzo 2018 -
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