Uno di questi giorni, non dico quale, i miei figli
scenderanno per le strade delle piccole città di sobborgo dove vivono, nel
Maryland e nel New Jersey, tenendo per mano i figi più grandi, tra loro
coetanei di tredici e di undici anni, per una marcia di protesta. Cammineranno,
sperando che quel giorno non piova a dirotto o marzo non scateni uno di quei
colpi di coda nevosi che ogni tanto sa sferrare. Per dire e per mostrare agli
amministratori pubblici sordo-muti-ciechi (dal Presidente Trump ai sindaci di
paese), che il tempo è arrivato perché quel diritto di possedere armi che la
Costituzione sembra, ripeto, sembra garantire a tutti nel Secondo Emendamento,
venga seriamente e strettamente regolato, in base a un semplicissimo
ragionamento che perfino il giudice molto pre-armi Antonio Scalia aveva
formulato: un diritto, anche se costituzionale, non comporta automaticamente la
possibilità di esercitarlo senza alcuna limitazione. Tutti abbiamo il dirittp
di percorrere la pubblica strada, ma lo Stato ha il dovere di stabilire in
quale direzione, entro quale velocità, con quali mezzi e con quali
abilitazioni. Non so dire se questi cortei di madri, sconvolte dai 12 assalti
armati contro scuole di ogni ordine e grado dall’inizio dell’anno – uno ogni 6
giorni – e offese dall’idiozia della proposta presidenziale di armare ogni
maestra e ogni professore come un Rambo, possa piegare alla ragione l’ottusa
corrotta sordità di politicanti ricattati dalle virulenze di coloro che
considerano normale costruirsi un arsenale di armi da guerra che nulla hanno di
“sportivo” e ancora meno di venatorio. Già aborro la caccia, ma il pensiero che
qualcuno possa sparare raffiche di proiettili di calibro bellico, da
terrorista, per abbattere una lepre o un cerbiatto, insulta quel che resta
della mia intelligenza- E non mi sono mai ripreso dal pianto dirotto che
costrinse mia madre a portarmi fuori dal cinema quando vidi ammazzare la mamma
di Bambi nel cartone animato. Ma il pensiero che quattro dei miei nipotini,
quelli che fino a ieri sera consideravo bambolotti da palleggiare fra le
braccia per strappare un sorrisino e, nelle giornate buone, un bacino, andranno
a marciare in strada per una manifestazione politica, mi tiene sveglio la
notte. Penso naturalmente al rischio di degenerazione, che ogni corteo o marcia
di protesta implicitamente comporta, tra possibili provocatori alla ricerca
dell’incidente che distrugga il valore pacifico e morale della marcia e scateni
la risposta automatica e inevitabile delle forze di polizia, oggi più nervose
che mai. Penso alla ghiotta occasione che quella folla di donne inermi, che si
trascinano maschietti e bambine per chilometri, rappresenta per il mentecatto
armato fino alle orecchie per fare un altro macello e vedere quei bambini come
leprotti o orsacchiotti sui quali esercitare la propria passione “sportiva”. Ma
dietro alle immancabili ansie di nonno, che come tutti i nonni immagina e
prevede catastrofi in ogni azione dei nipoti che sia più azzardata dello
scendere dal letto (e anche qui, bisogna vedere quanto è alto il letto), c’è lo
shock di scoprire che quei bambolotti imbacuccati e imbottiti in sedili da
astronauti sono ormai piccoli uomini e donne, che camminano per le strade del
mondo e affrontano quella realtà dalla quale inutilmente noi ci eravamo illusi
di poterli proteggere per tutta la vita. Almeno, mi consolo marciano per una
giusta ragione, per un buon motivo, e in questo si potrebbe essere orgogliosi
di loro e dei loro genitori. Ma era più bello quando, sulla spiaggia, gli
raccontavo che quella barca all’orizzonte era una nave pirata e io li avrei
protetti. Ora che i pirati ci sono davvero, non posso fare niente per
proteggerli.
Vittorio Zuccon – Opinioni – Donna di La Repubblica – 17
marzo 2018
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