Sono Un Docente della scuola secondaria di primo grado, ma sono
anche un genitore di uno di quegli alunni definiti “difficili”! E oggi sto
scrivendo come genitore amareggiato, deluso e impotente di fronte alle mancanze
della scuola pubblica italiana. Svolgo la professione per sincera vocazione, ma
sono diventato (per lo Stato italiano) un docente, studiando Garibaldi e
Manzoni, senza alcuna preparazione di carattere psicologico e socio-
comunicativo. Ho in sostanza accumulato informazioni, sapere nozioni per anni,
ma nessuno mi ha “formato” su come ad esempio relazionarmi ed entrare in
empatia con i ragazzi delle mie classi. E allora, quando ci troviamo davanti un
caso “difficile, a quale santo votarci? Le maestre di mio figlio si limitano a
sollecitarmi perché richieda un insegnante di sostegno, e magari alla fine mi
capiterebbe il solito sfigato laureato in scienze motorie che, per bruciare le
tappe dell’assegnazione della cattedra di ruolo, si improvvisa e accetto la
cattedra di ruolo, si improvvisa e accetta la cattedra di sostegno, così mio
figlio si ritroverebbe a imparare italiano o matematica con un laureato in
scienze motorie. I genitori dei compagni di mio figlio vorrebbero scrivere una
lettera alla Dirigente scolastica per chiederle di sbatterlo furi dalla scuola.
A questo punto sono costretto a trasferirlo in un altro istituto, perché dove
ora si trova non sono in grado di gestirlo e non è più gradito! Il
neuropsichiatra che l’ha in cura ha dichiarato che non ha alcuna patologia, ma
un disturbo oppositivo- comportamentale e, quindi, più di quanto stiamo facendo
non si può fare. Il resto ce lo dovrebbe mettere la scuola. Noi docenti siamo
convinti che il sapere ci abiliti a insegnare. Ma di fronte a noi non abbiamo
libri, manoscritti, fonti archeologiche, bensì esseri umani con una loro vita
personale, quindi con i loro problemi e con il loro carattere. Di tutto questo
noi docenti, quando entriamo in aula, ne teniamo conto? Roberto Mottola roberto.mottola@icloud.com
Ormai, A Prescindere dal suo caso doloroso, ho perso ogni fiducia
nella capacità educativa della scuola dal giorno in cui questa ha rinunciato a
pensarsi, secondo la tradizione italiana, come luogo di “formazione”, per
abbracciare l’impostazione anglo-americana che la pensa in termini di
“prestazione”. Ne è prova il fatto che non si fanno più i temi, dove potrebbe
emergere la soggettività dell’alunno, sostituiti dalla comprensione di un
testo, dove a ogni parola incompresa si scala un voto. In questo modo i
professori non sanno niente degli alunni che hanno davanti a loro, e gli
studenti, a loro volta, non sanno nulla di se stessi. L’”istruzione”, come
somma d’informazioni, ha soppiantato radicalmente l’”educazione” che prevede
anche una cura dei sentimenti e della condizione emotiva degli alunni. E poi ci
si meraviglia se questi ragazzi fanno i bulli, i violenti, oppure gli
svogliati, i demotivati, o semplicemente i cretini, con una povertà di
linguaggio impressionante che è quella concessa dal loro smartphone. Mentre
Macron proibisce giustamente l’uso dei cellulari a scuola, la nostra Ministra
dell’Istruzione li sdogana per introdurre l’“educazione digitale”, quando nella
nostra scuola non si è ancora provveduta all’educazione in generale. Dico
questo perché, come lei segnala, anche i professori più preparati nelle loro
materie (non sono molti), durante la loro formazione non hanno mai avuto
l’occasione di compiere un percorso psicologico per apprendere qualche nozione
di “psicologia dell’età evolutiva”, né hanno mai fatto percorsi che hanno loro
insegnato come si fa a comunicare, in quella stagione incerta, l’adolescenza,
dove la mente degli studenti si apre solo se prima si è stati in grado di
aprire il loro cuore all’emozione, al sentimento alla fascinazione. Due ultime
note deludenti: 1. La Ministra dice che siccome l futuro sarà sempre più
informatico bisogna cambiare i “modelli educativi”. A parte che la parola
“educazione” è troppo carica di senso per poterla disinvoltamente cambiare a
secondo dei mezzi tecnologici che si affermano. Con questo ragionamento quando
sono state introdotte le automobili che avrebbero rappresentato il futuro della
mobilità, la scuola avrebbe dovuto preparare alla patente tutti gli studenti?
2. I nuovi “modelli educativi”, sempre secondo la Ministra, consentirebbero
alla scuola di insegnare agli studenti a “usare gli strumenti digitali in modo
critico”. A me pare che per usare qualsiasi cosa in modo critico bisogna aver
prima acquisito il “senso critico”, che una volta la scuola s’incaricava di
insegnare, mentre oggi, per le ragioni sopra esposte, non insegna più. Questo è
il vero danno Ministra, un danno che il “cambiamento dei modelli educativi” non
ripara.
umbertogalimbert@repubblica.it – Donna di La Repubblica - 24 febbraio 2018
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