“Se incominci a venire fuori dalla
fabbrica cominci a conoscere gli operai, se cominci a conoscere gli operai
cominci a conoscere i problemi, se cominci a conoscere i problemi, forse attui
qualcosa per risolverli. E allora sì che sei uno di sinistra. Ma se tutto
questo non si fa, vuol dire che non sei più di sinistra. Non basta una bandiera
per dare dei valori”. Gerardo, 44 anni di cui 18 in Fiat, ha perso. Lui ha
votato Liberi e Uguali, discutendo fino all’ultimo minuto di campagna
elettorale con i colleghi che hanno votato in massa Movimento 5 Stelle. Quello
che faccio con lui intorno a mezzanotte davanti all’ingresso 2 dei cancelli
della FCA (Fiat Chrysler Automobiles) di Pomigliano, fu Fiat, fu Alfasud, è una
delle analisi della sconfitta più amare di questi giorni del dopo voto. Gerardo
ha più tempo da dedicarmi di quanto vorrebbe averne. Da otto anni è in
contratto di “solidarietà” (questo mese entrerà in fabbrica solo sette volte,
guadagnando, per i giorni in cui rimarrà a casa, il 60 per cento della paga
prevista). Si è appena sposato e aspetta un figlio. Davanti a questi cancelli,
senza conoscerci, ci siamo stati entrambi nel giugno 2010, allorché Marchionne
impose agli operai un referendum per tenere in quello stabilimento la
produzione della Panda, anziché delocalizzarla in Polonia, accettando
condizioni di lavoro più discutibili di quanto non lo fossero già. Dopo sette
anni e mezzo, la situazione sembra la stessa di allora, con esuberi in vista e
la speranza di avere presto una Jeep da produrre in futuro. Davanti a questi
cancelli, la sinistra non c’è più da tempo, e chi un tempo si affidava a lei
ora sta festeggiando in piazza Leone l’arrivo di Luigi Di Maio, profeta in
patria con il 65 per cento dei voti ottenuti. Di Maio saluta, bacia e stringe
le mani di chi l’ha visto nascere, crescere e stravincere le “prime elezioni
post-ideologiche”, quelle che, a dir suo e di più o meno tutte le analisi dei
flussi elettorali, avrebbero messo fine alle divisioni tra classi e categorie
ordite ad arte negli anni dagli “altri”. E se ridurre le ragioni di un successo
all’efficacia della promessa – che tra tutte le mirabolanti promesse elettorali
di destra, sinistra e 5stelle è stata giudicata come la più utile e necessaria
– è sicuramente miope, non c’è dubbio che sia il reddito di cittadinanza una
delle principali ragioni del risultato. “Sono un attivista a cinque stelle”
dice Giuseppe mentre mi illustra le qualità della pizza doc da lui cucinata e
appena sfornata nella sua pizzeria. “Ho votato Di Maio, ma staremo a vedere.
Deve attuare quello che ha promesso, perlomeno il 30 o 40 per cento.
Cominciando dal reddito di cittadinanza. Perché altrimenti saremo noi che
cacceremo lui”. Governare, qualora dovesse accadere, sarà impegnativo.
Diego Bianchi – Il Sogno di Zoro – Il Venerdì di La
Repubblica – 16 marzo 2018 –
Nessun commento:
Posta un commento