Etichette

martedì 27 marzo 2018

Lo Sapevate Che: Dubbi di un adolescente che si chiede:...


Sono una studentessa del liceo linguistico, e volevo chiederle un parere riguardo ai motivi e le condizioni che hanno influenzato la mente degli studenti di oggi. Mia madre mi racconta sempre che i giovani di un tempo impegnavano la maggior parte del loro tempo nei discorsi politici o ambiti culturali, insomma discutevano di attualità costantemente, ed erano divisi in destra o sinistra, entrambi facevano cortei, protestavano contro ciò in cui non credevano reclamando ciò in cui credevano, esprimevano le loro opinioni apertamente. Oggi non è più così, c’è un senso di spaesamento a scuola e anche i prof si spendono più in discorsi che riguardano l’attualità o l’Italia di oggi, vogliono solo finire il programma e a malapena in quinta arrivano al ‘900. E da parte degli studenti? Non c’è più alcun interesse, tutti sono influenzati e impegnati a guardare video stupidi sul telefono, o seguire Youtuber. Noi giovani siamo diventati ignoranti, ma questo è perché lo Stato e la Società ci vogliono così? O siamo noi che vogliamo essere trascinati, che vogliamo essere ruote di scorta invece che la speranza dell’umanità?   Gala Ottavi ottavigala@gmail.com

Cara Gala, Il Mondo della tua generazione è radicalmente e ineluttabilmente diverso dal mondo che ti racconta tua madre. Perché il mondo di tua madre, che poi era anche il mio mondo, era governato dalla politica, che allora era il luogo delle decisioni, a partire dalle quali la storia poteva anche cambiare corso. Per questo i giovani di allora, culturalmente un po' più attrezzati dei giovani di oggi, avevano la sensazione (con le loro proteste, le loro manifestazioni, le loro occupazioni di scuole e di fabbriche, e persino, sia pure tragicamente, con le loro violenze) di incidere sulla politica e quindi di cambiare la storia. E in parte ci sono anche riusciti se pensiamo all’emancipazione femminile, all’accesso di tutti all’istruzione universitaria, all’importazione della cultura europea ad opera dell’editoria, alla creazione di un più avanzato stato sociale, alla maggior tutela del lavoro, senza dimenticare, naturalmente, l’aspetto negativo del terrorismo come degenerazione delle rivendicazioni sociali. Il tuo mondo, cara Gala, che è poi il mondo attuale, non è più governato dalla politica, ma dall’economia, nel senso che per prendere le sue decisioni, la politica guarda l’economia. Quando addirittura non è costretta da quest’ultima a seguire rigorosamente i dettami che essa impone, onde evitare l’emarginazione del Paese dal mercato globale. Come puoi intuire, l’economia, dopo aver eretto il denaro a generatore simbolico di tutti i valori assume come criterio per il suo incremento il profitto, e quando questo è scarso o addirittura non si riesce ad ottenerlo si chiudono le fabbriche, si delocalizzano le imprese, si comprime il costo del lavoro, si riduce lo stato sociale. In uno scenario del genere è ancora possibile una contestazione giovanile? È ancora efficace uno sciopero del lavoro? Ha ancora senso una destra e una sinistra con il corredo dei loro valori da difendere? O su tutto questo vige la logica rigorosa del mercato che prevede unicamente il raggiungimento del massimo dei profitti con l’impiego minimo dei mezzi? Questa logica si è imposta al punto da non essere circoscritta unicamente ai Paesi che hanno adottato il sistema capitalistico, com’era nel mondo descritto da sua madre, perché con la globalizzazione il mercato è diventato mondiale e vissuto come una legge di natura. E ciò nonostante sia sotto gli occhi di tutti che in questo sistema le merci hanno una libertà di circolazione molto maggiore di quella di cui dispongono gli esseri umani, che il mercato visualizza non come persone ma unicamente come produttori e consumatori, cioè, ai diversi livelli, come suoi funzionari, mettendo ai margini della condizione umana chi non è nelle condizioni di produrre o di consumare. Nel mondo descritto da sua madre l’uomo era ancora il soggetto della storia, mentre nel mondo attuale il soggetto della storia è il mercato, dove gli uomini, come osserva Günther Anders: “hanno rinunciato a considerare se stessi (o le nazioni o le classi o l’umanità) come soggetti della storia. Si sono lasciati detronizzare e hanno collocato altri soggetti della storia come il mercato o la tecnica, le cu rispettive storie non sono, come quelle dell’arte o della musica, alcune fra le altre, bensì, nel più recente sviluppo storico, sono “la storia”. E ne è terribile conferma il fatto che dal loro corso e dal loro impiego dipende l’essere o il non essere dell’umanità”. Questo scenario, cara Gala, non è frutto di pessimismo, come immancabilmente mi si accusa ogni volta che lo propongo, ma è puro e semplice realismo, di cui coi giovani, con la vostra rassegnazione, avete forse inconsciamente intuito l’impossibilità di ribellarsi.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di La Repubblica – 24 marzo 2018 -

Nessun commento:

Posta un commento