Due rottami siamo, miserabili e polverosi avanzi di due
oggetti nobili, onorati e fieri. Io sono un ottimo fucile da cassia e questo
accanto a me è ‘archetto di un eccellente violino. Siamo nella cantina di
questa cascina da almeno centottant’anni, se ho contato esattamente le
bottiglie di spumante di ogni Capodanno. Il nostro “padrone era un giovane
vulcanico. Si chiamava Giovanni Bosco ed era un seminarista che passava qui con
la madre le vacanze estive. Il sabato e la domenica riuniva i ragazzi della
borgata, faceva catechismo, e insegnava a leggere e a scrivere. Era simpatico e
tutti amavano la sua compagnia. Sapeva suonare con maestria il violino e, un
anno, lo zio Matteo lo invitò a suonare in chiesa per la festa di san Bartolomeo.
In chiesa, le cose andarono molto bene. La musica e la solenne liturgia
lasciarono la gente estasiata. Subito dopo pranzo, cominciarono i guai. Tutti i
commensali invitarono Giovanni a suonare qualche bel pezzo al violino. Il
giovane non seppe dire di no e incominciò un’allegra serenata. Dopo qualche
minuto si sentono un bisbigliare e uno scalpiccio ritmico. Giovanni si affacciò
alla finestra e vide nel cortile una folla di persone che a coppie, teneramente
allacciati, ballavano spensieratamente. Il giovane seminarista arrossì e si
rivolse confuso agli astanti: “Ma come? Io predico contro i balli pubblici, e
voi me ne fate organizzare uno nel vostro cortile? Non capiterà mai pù”. Il
povero archetto qui accanto, mille volte mi ha raccontato fra le lacrime che,
arrivato a casa, Giovanni frantumò in mille pezzi il suo violino. E non lo
suonò mai più. Devo dire che era uno che manteneva sempre quello che
prometteva. Lo posso ben dire io. Giovanni era bravo in tutto, ma era un asso
nella caccia. Aveva un fiuto per le prede come pochi. E una mira che non vi
dico…Uscì un mattino all’alba con me a tracolla. Vide sfrecciare una grossa
lepre. Partì all’inseguimento. Di campo in campo, di vigna in vigna, attraverso
le valli e si arrampicò sulle colline. Per ore. La lepre era veloce e
resistente. Giovanni di più. Cinque chilometri di corsa senza sosta. Finalmente
la lepre fu alla mia portata, e io feci il mio dovere. La povera bestiola cadde
nell’erba umida di rugiada. Ma il buon Giovanni non esultò. Mi accorsi che era
triste e aveva le lacrime agli occhi. Gli amici che lo avevano seguito con il
fiatone si congratularono. Ma Giovanni era mortificato, chiese perdono agli
amici per il brutto spettacolo che aveva dato e tornò immediatamente a casa.
Lo sentii promettere
al Signore di non andare mai più a caccia.
Di fatto non uscii più da questo angolo buio.
E nella canna è arrugginita l’ultima cartuccia.
B.F. –
Bollettino Salesiano di marzo 2018
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