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sabato 24 marzo 2018

Lo Sapevate Che: Il Violino e il fucile...


Due rottami siamo, miserabili e polverosi avanzi di due oggetti nobili, onorati e fieri. Io sono un ottimo fucile da cassia e questo accanto a me è ‘archetto di un eccellente violino. Siamo nella cantina di questa cascina da almeno centottant’anni, se ho contato esattamente le bottiglie di spumante di ogni Capodanno. Il nostro “padrone era un giovane vulcanico. Si chiamava Giovanni Bosco ed era un seminarista che passava qui con la madre le vacanze estive. Il sabato e la domenica riuniva i ragazzi della borgata, faceva catechismo, e insegnava a leggere e a scrivere. Era simpatico e tutti amavano la sua compagnia. Sapeva suonare con maestria il violino e, un anno, lo zio Matteo lo invitò a suonare in chiesa per la festa di san Bartolomeo. In chiesa, le cose andarono molto bene. La musica e la solenne liturgia lasciarono la gente estasiata. Subito dopo pranzo, cominciarono i guai. Tutti i commensali invitarono Giovanni a suonare qualche bel pezzo al violino. Il giovane non seppe dire di no e incominciò un’allegra serenata. Dopo qualche minuto si sentono un bisbigliare e uno scalpiccio ritmico. Giovanni si affacciò alla finestra e vide nel cortile una folla di persone che a coppie, teneramente allacciati, ballavano spensieratamente. Il giovane seminarista arrossì e si rivolse confuso agli astanti: “Ma come? Io predico contro i balli pubblici, e voi me ne fate organizzare uno nel vostro cortile? Non capiterà mai pù”. Il povero archetto qui accanto, mille volte mi ha raccontato fra le lacrime che, arrivato a casa, Giovanni frantumò in mille pezzi il suo violino. E non lo suonò mai più. Devo dire che era uno che manteneva sempre quello che prometteva. Lo posso ben dire io. Giovanni era bravo in tutto, ma era un asso nella caccia. Aveva un fiuto per le prede come pochi. E una mira che non vi dico…Uscì un mattino all’alba con me a tracolla. Vide sfrecciare una grossa lepre. Partì all’inseguimento. Di campo in campo, di vigna in vigna, attraverso le valli e si arrampicò sulle colline. Per ore. La lepre era veloce e resistente. Giovanni di più. Cinque chilometri di corsa senza sosta. Finalmente la lepre fu alla mia portata, e io feci il mio dovere. La povera bestiola cadde nell’erba umida di rugiada. Ma il buon Giovanni non esultò. Mi accorsi che era triste e aveva le lacrime agli occhi. Gli amici che lo avevano seguito con il fiatone si congratularono. Ma Giovanni era mortificato, chiese perdono agli amici per il brutto spettacolo che aveva dato e tornò immediatamente a casa.
Lo sentii promettere al Signore di non andare mai più a caccia.
 Di fatto non uscii più da questo angolo buio. E nella canna è arrugginita l’ultima cartuccia.
B.F. – Bollettino Salesiano di marzo 2018

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