“Insegnare alle ragazze come
funzionano i programmi dei computer, come si progetta un robot o di inventa una
nuova app aiuta a scardinare il principio educativo secondo cui devono essere
sempre perfette e perfettamente preparate per riuscire in qualcosa. Imparare a programmare
significa sostituire l’utopia della perfezione con l’accettazione dell’errore
come parte della realizzazione di un progetto”. Così, al telefono da New York,
esordisce Resma Saujani, statunitense d’origine indiana, ex studentessa di
Harvard, avvocata promotrice dell’educazione tecnologica delle teenager in
tutti gli Stati. Prosegue: Nessun Paese avanzato può lasciare che le donne,
metà della sua popolazione, non abbia le competenze necessarie per entrare nel
mondo dell’hi-tech e della robotica- Si tratta di un danno economico e sociale
che non possiamo permetterci. Oggi, negli Usa, il gender gap è enorme e più
forte rispetto ad anni fa: le donne sono solo un quinto dei laureati in
computer science. E il problema è globale. L’Agenzia Onu per le
telecomunicazioni ha lanciato l’allarme sull’allargarsi nel mondo del digital gender gap sia nell’uso delle
tecnologie che nelle mansioni lavorative. E secondo una ricerca condotta da
NetConsulting Cube su un campione di 60 aziende italiane nel 70 per cento delle
società la quota femminile in ruoli tecnico-scientifici è inferiore al 25 per
cento. Per cambiare queste percentuali Saujani ha fondato nel 2012 una Ong che
organizza corsi extracurriculari nelle scuole statunitensi e coinvolge circa 50
mila ragazze. Ora arriva in Italia il manuale che si intitola come la sua
associazione: Girls Who Code. Impara il
coding e cambia il mondo (Il Castoro). Un libro dalla grafica divertente,
per attrarre le adolescenti, ma serissimo nei contenuti e capace di far
comprendere le regole di base. Che cos’è il pensiero computazionale? Cosa vuol
dire creare un loop? A che cosa servono gli onnipresenti algoritmi? E le
funzioni? Con esempi tratti dalla vita quotidiana e scolastica, l’autrice
arriva, nell’ultima parte del libro, a spiegare alle lettrici (e anche ai
lettori, ovviamente come impostare un progetto di coding dall’inizio alla fine.
“La programmazione è vista come un’attività complessa, ed è legata a
un’immagine maschile e solitaria. Questo allontana le studentesse. Io invece
mostro che può avere un impatto positivo sulla comunità. Consiglio ai genitori
di leggere questo libro insieme alle figlie. Siamo tutti grandi consumatori di
apparecchi hi-tech ma non sappiamo perché funzionano”. Le ragazze che hanno
seguito i corsi sono già iscritte a facoltà scientifiche in numeri più alti
rispetto alla media nazionale. Ma non c’è solo questo: “Fare coding è arte.
Sviluppa la creatività e la capacità di lavorare in team. Non ditemi che questa
non è roba da ragazze”.
Lara Crinò – Scienze – Il Venerdì di La Repubblica – 9 marzo
2018 –
Interessante, molto interessante, grazie :)
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