È una
confessione molto intima che
faccio ad anima viva, e la faccio anche a me stesso, per capire perché nel 1997
ho smesso di andare a Messa, dopo essere andato da solo ad Assisi in una sorta
di pellegrinaggio religioso. Ho visitato soprattutto chiese, e sono tornato da questo
viaggio un po' saturo di religione. In quel periodo mi capitò di leggere nella
sua rubrica la lettera di una ragazza di nome Mary, che mi fece letteralmente a
pezzi. La ragazza si lamentava del vuoto che vedeva negli atteggiamenti dei
giovani. Mi ricordo che parlava di “oziose
fumate di hashish”, e con sdegno diceva che lei non sarebbe stata come loro,
che lei avrebbe spiegato le sue ali di gabbiano incontro al sole e avrebbe
detto “no” ad alta e forte voce contro ciò che non condivideva. Ricordo ancora
la mattina in cui ebbi la mia “visione”. Ero a Sassuolo, fermo al semaforo
rosso, e immaginai la scena in cui io volevo fare l’elemosina a quella ragazza.
Mi immaginai che la ragazza avrebbe rifiutato la mia cattolicissima elemosina,
forse per suo riposto senso di dignità. Ho immaginato che, di fronte a
quell’atteggiamento “altezzoso”, “razionale”, io mi sarei arrabbiato con lei;
l’avrei violentata! Sì, le avrei fatto violenza, per rabbia, per punirla di
aver deriso il mio amore cristiano in nome della ragione. Di fronte a questa
visione ho capito cosa c’era dietro la mia frequentazione della Chiesa: voglia
di predicare sul prossimo sotto le apparenze dell’agnellino che si comporta
caritatevolmente. Ho provato schifo di me. E da allora mi sforzo di comportarmi
criticamente, senza cedere, per quanto possibile, a facili sentimentalismi, che
non nascondono altro che ipocrisia e risentimento vero le persone veramente
superiori, come ben aveva visto Nietzsche quando criticò la morale cristiana.
Ecco, questa è la mia confessione. Se vuole mi dica cosa ne pensa. Lettera
firmata
Come
anche lei forse avrà
sperimentato, la fede affonda in regioni che non coincidono con quelle della
ragione (la quale, a sua volta, altro non è che un sistema di regole necessarie
per poterci intendere e poter prevedere i reciproci comportamenti, scongiurando
così l’imprevedibile, vera fonte dell’angoscia). E siccome queste regioni in
cui la fede affonda sono abissali e si confondono con le radici della nostra educazione,
con la costellazione dei nostri sentimenti, con il nostro bisogno di
appartenenza, di protezione di speranza che non tutto si concluda con la morte,
in questo intreccio intricato di radici come si fa a esprimere un giudizio o
anche solo un parere? Nei confronti della fede, qualunque essa sia, per le
ragioni sopra esposte, l’unico atteggiamento possibile è il rispetto a cui
affiderei anche il silenzio. Nel riferire la sua visione lei racconta che, dopo
il rifiuto della ragazza di accettare la sua “cattolicissima elemosina”, lei ha
sentito il bisogno di violentarla, dopo di che, ripresosi dalla visione, ha
concluso che la sua fede e la frequentazione della Chiesa null’altro
nascondevano che “la voglia di prevaricare sul prossimo, sotto le apparenze
dell’agnellino che si comporta caritatevolmente”. Se questo fosse l’unico senso
che la sua visione le propone, le consiglierei di tornare subito alle sue
pratiche religiose, perché la religione, come dice la parola stessa, è nata per
recintare (re-legere) l’area del
sacro, che è quello sfondo indifferenziato caratterizzato dalla massima
violenza e dalla sessualità selvaggia, dove il puro e l’impuro, il giusto e
l’ingiusto, le regole e le trasgressioni si confondono e si contaminano, e da
cui l’uomo si è separato e tenuto lontano (“sacro” è parola indoeuropea che
significa “separato”) prima con le regole della religione (precetti e
comandamenti), e poi con l'uso della ragione e dei principi che la governano
(principio di non contraddizione, di casualità, ecc.). Ma il sacro non è solo
esterno all’uomo, è anche interno come suo sfondo enigmatico e buio che può
esplodere ogniqualvolta la ragione cede e la religione non lo trattiene. La
punizione che lei nella sua visione avrebbe voluto infliggere alla ragazza, per
i suoi caratteri che richiamano violenza e sessualità, appartiene all’area del
sacro, da cui l’umanità ha cercato di tenersi lontana, percorrendo quel
tragitto che l’ha condotta da uno stato selvaggio a uno quasi civile, e da cui
ciascuno di noi quotidianamente si difende per evitare di cadere nell’abisso
della follia. Il sacro che c abita, siccome non può essere rimsso, agisce
comunque. Per questo tutte le modalità (religione compresa) che l’umanità ha
ideato per tenerlo relegato nel suo recinto, custodiamole con cura, anche
perché, come ci ricorda Kant, “la ragione è un’isola piccolissima nell’oceano
dell’irrazionale”. Detto questo, se non le dispiace, il contenuto della sua
lettera mi consiglia di non pubblicare il suo nome.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di La
Repubblica – 10 marzo 2018 -
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