Io Penso Che non solo l’uomo religioso ma anche il filosofo è
chiamato a guidare i suoi comportamenti secondo autenticità e coerenza con le
proprie affermazioni, e non, come scrive Schopenhauer: “Che il santo sia un
filosofo, è tanto poco necessario quanto poco necessario che il filosofo sia un
santo. Sarebbe d’altronde singolare pretendere da un moralista che non debba
raccomandare se non le virtù da lui stesso possedute”. Così, a mio parere, la
filosofia che l’ha elaborata. A tale proposito riporto anche l’autorevole
parere di Umberto Galimberti il quale sostiene che le teorie scientifiche e
filosofiche stanno in piedi da sole senza la testimonianza della persona che le
ha prodotte. Non giudicare la filosofia dalla condotta di un filosofo afferma
Umberto Galimberti, che difende la posizione di Schopenhauer, peraltro
sostenuta anche da Aristotele il quale, dopo la morte di Alessandro Magno di
cui era stato precettore, temendo l’ostilità degli ateniesi, riparò in Eubea,
con la giustificazione di voler evitare agli ateniesi di compiere, dopo
Socrate, un altro delitto contro la filosofia. Ora, seguendo queste
considerazioni ne consegue forse che non dovremmo valutare la religione e in
particolare la Chiesa cattolica dalla vita e dal comportamento di un uomo
religioso o di un suo rappresentante? <io non concordo con i termini posti
da Schopenhauer e da Galimberti, e ritengo che un pensiero o una verità si
misurano nella loro essenza solo dalla testimonianza di vita, altrimenti ci
troviamo di fronte a un pensiero o una verità che si reggono su una scissione
tra pensiero/astrazione ed emozioni/vita individuale. Ci troviamo di fronte a
una logica cartesiana che tiene ben separati la res cogitans e la res extensa; logica cartesiana che, sia in ambito
filosofico che scientifico post moderno, sembra ampiamente superata. Spero
molto in una sua risposta. Anna Maria Marini
pumpmoon@gmail.com
Come Lei Ha già detto nella sua lettera, io sono
dello stesso parere di Aristotele e di Schopenhauer, secondo i quali una teoria
dimostrata sta in piedi anche a prescindere dalla testimonianza di vita di chi
l’ha enunciata, mentre una fede, proprio perché non è un sapere, sta in piedi
solo se testimoniata. A questo proposito Karl Jaspers, uno dei maggiori
filosofi e psichiatri del ‘900, nel libro La fede filosofica (Cortina Editore),
scrive: “La fede è diversa dal sapere. Giordano Bruno credeva, Galileo sapeva.
Un giorno si trovarono entrambi nella stessa situazione. Un tribunale
d’inquisizione esigeva, sotto pena di morte, la ritrattazione. Bruno era pronto
a ritrattare qualcosa delle sue proposizioni, ma non quelle che giudicava
essenziali. Per questo subì la morte dei martiri. Galileo ritrattò la dottrina
della rotazione della terra intorno al sole, perché la sua era una verità che
nessuna ritrattazione era in grado di estinguere. I due accusati si
comportarono conformemente al tipo di verità da loro rispettivamente
rappresentata. La verità da cui io traggo la mia esistenza vive solo se io mi
identifico con essa. La verità invece che io posso dimostrare, può sussistere
anche senza di me, perché è universalmente valida e dipende unicamente dalle
premesse e dai metodi di conoscenza”. Ne consegue che la religione e la Chiesa
che la esprime, proprio perché hanno il loro fondamento nella fede (che crede
perché non sa), necessita della testimonianza dei fedeli, dal momento che, se
nessuno credesse in Dio, quella fede si estinguerebbe. Non così il sapere, che
si definisce tale quando è dimostrato, e la cui validità dipende dalla
dimostrazione che lo sostiene e non dalla testimonianza della condotta di chi
lo enuncia. Per quanto riguarda la logica cartesiana, questa non è assolutamente
superata e non tiene in alcun modo separata la res extensa dalla res
cogitans, perché legge la res extensa
proprio con le categorie della res
cogitans. Per cui, ad esempio, il corpo (res extensa) è letto da Cartesio con le categorie della fisica (e
in seguito con quelle della chimica, della biologia molecolare, della genetica)
che sono le teorie con cui il pensiero scientifico (res cogitans) ispeziona il corpo. Il corpo con cui lei vive e si
relaziona al mondo della vita non è il corpo ispezionato dalla scienza medica (res cogitans) che lo riduce a una
sommatoria di organi. E se è vero che questa riduzione non esaurisce il
significato del corpo, se così non facesse, la medicina non potrebbe operare.
Eppure nessuno mette in dubbio la validità di questa riduzione in base al tipo di
vita condotta dai medici, perché, anche se questo stile fosse tra i più
sregolati, questo non pregiudicherebbe la validità del sapere medico.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di La Repubblica - 18
novembre 2017 -
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