Il Mese Di Novembre alla fine lo avrò trascorso per un
terzo in Asia, un pezzettino tra Belgio e Svizzera, a casa mi a New York non
più della metà del tempo. Ottobre è andato peggio. Mi sono fatto 9mila km di
traversata dell’America profonda, per andare a sondare gli umori degli elettori
di Trump un anno dopo il voto a zigzag dal Midwest al Texas. Più la trasferta
tragica e imprevista a Las Vegas, dopo la strage. E un blitz di quattro giorni
in Italia a presentare il mio nuovo libro. Alla fine, ben più di metà mese in
viaggio. Settembre non era stato diverso. Viaggi intercontinentali, sbalzi di
fuso orario anche di 12 ore: la differenza New York-Tokyo. Un’inversione totale
tra giorno e notte. Anche tra East Coast e West Coast sono pur sempre sei ore
di volo, e tre di fuso da assorbire. Chi osserva il mio stile di vita – se così
si può chiamare – mi chiede spesso: come ci si abitua al jet lag? Ah Ah. Riso
amaro. Risposta sincera: non ci si abitua mai. Chi vi racconta che non ne
soffre, di nascosto s’impasticca pesantemente. Mi ha consolato sentire la
stessa verità da una celebrity che ha vent’anni meno di me. È Vittorio Grigolo,
grande tenore venerato nel mondo intero, che spesso canta qui al Metropolitan
Opera. Come tutte le star della musica, anche lui salta da un impegno
professionale all’altro, cambiando continente un paio di volte al mese. In
un’intervista gli è stato proprio chiesto: quel è il segreto per non soffrire
di jet lag? Grigolo (40 anni) ha risposto: “Non esiste. Più invecchio, più mi
pesa viaggiare”. Bravo, bis. Come lo capisco. Nei viaggi al seguito dei
presidenti Usa, la media d’età dei giornalisti è sui trent’anni; i miei
colleghi accreditati alla Casa Bianca sono dunque più giovani di Grigolo. Mi
sembra, a volte, di essere in gita scolastica, circondato da coetanei dei miei
figli. Dovreste vedere anche loro, però, alle del mattino a Manila, dopo due
settimane di voli notturni rannicchiati su un sedile in economy: non sembrano
fiori appena sbocciati. L’altra domanda disarmante me l’ha fatta il collega
Corrado Formigli in una puntata di Piazza
pulita, il suo talkshow su La7. Chiudeva la serata parlando di diete, e
fenomeni a me sconosciuti come l’anoressia (un’ossessione patologica sulla
qualità della propria alimentazione). Corrado mi ha chiesto che dieta seguo, e
io mi sono sentito sprofondare come in prima media quando non avevo studiato la
poesia e venivo chiamato alla lavagna. Dieta? Io? Ho scoperto di avere fame di
vegano, forse perché faccio yoga dall’adolescenza, o forse semplicemente perché
magro. In realtà l’unica che vorrei fare è la dieta mediterranea. Anzi ITALIANA
(maiuscolo!). Più faccio questa vita da nomade globale, più vengo colto da
attacchi di nostalgia acuta, ho il patriottismo gastronomico dell’emigrante. Lo
rivendico. Ne vado fiero. Nel mio ultimo libro sulle carte geografiche ho
inserito anche una “globalizzazione del Prosecco”, per illustrare come il mondo
intero voglia vivere come noi italiani. E ha ragione, accidenti se ha ragione.
Anch’io vorrei nutrirmi come noi italiani, per favore. Eccome se mi piacerebbe,
avere una dieta. Vallo a dire a United Airlines, Delta, Lufthansa, Japon
Airlines o Emirates, sui cui voli mi nutro spesso male. Non parliamo delle mie
immersioni nell’America profonda, il paese di mezzo dove i ristoranti che si
spacciano per italiani credono che la nostra cucina si riconosca dalla quantità
di aglio. Da grande voglio diventare salutista. Le regole le avrei: una lunga
lista. Poi mi sveglio all’alba in un aeroporto sempre diverso, fisso uno
specchio, vedo la faccia di uno che è stato preso a pugni per tutta la notte, e
dimentico di cosa stavamo parlando.
Federico Rampini – Opinioni – Donna di La Repubblica – 18
novembre 2017 -
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