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venerdì 24 novembre 2017

Lo Sapevate Che: C'è chi dice di non soffrire di jet lag. Mente...



Il Mese Di Novembre alla fine lo avrò trascorso per un terzo in Asia, un pezzettino tra Belgio e Svizzera, a casa mi a New York non più della metà del tempo. Ottobre è andato peggio. Mi sono fatto 9mila km di traversata dell’America profonda, per andare a sondare gli umori degli elettori di Trump un anno dopo il voto a zigzag dal Midwest al Texas. Più la trasferta tragica e imprevista a Las Vegas, dopo la strage. E un blitz di quattro giorni in Italia a presentare il mio nuovo libro. Alla fine, ben più di metà mese in viaggio. Settembre non era stato diverso. Viaggi intercontinentali, sbalzi di fuso orario anche di 12 ore: la differenza New York-Tokyo. Un’inversione totale tra giorno e notte. Anche tra East Coast e West Coast sono pur sempre sei ore di volo, e tre di fuso da assorbire. Chi osserva il mio stile di vita – se così si può chiamare – mi chiede spesso: come ci si abitua al jet lag? Ah Ah. Riso amaro. Risposta sincera: non ci si abitua mai. Chi vi racconta che non ne soffre, di nascosto s’impasticca pesantemente. Mi ha consolato sentire la stessa verità da una celebrity che ha vent’anni meno di me. È Vittorio Grigolo, grande tenore venerato nel mondo intero, che spesso canta qui al Metropolitan Opera. Come tutte le star della musica, anche lui salta da un impegno professionale all’altro, cambiando continente un paio di volte al mese. In un’intervista gli è stato proprio chiesto: quel è il segreto per non soffrire di jet lag? Grigolo (40 anni) ha risposto: “Non esiste. Più invecchio, più mi pesa viaggiare”. Bravo, bis. Come lo capisco. Nei viaggi al seguito dei presidenti Usa, la media d’età dei giornalisti è sui trent’anni; i miei colleghi accreditati alla Casa Bianca sono dunque più giovani di Grigolo. Mi sembra, a volte, di essere in gita scolastica, circondato da coetanei dei miei figli. Dovreste vedere anche loro, però, alle del mattino a Manila, dopo due settimane di voli notturni rannicchiati su un sedile in economy: non sembrano fiori appena sbocciati. L’altra domanda disarmante me l’ha fatta il collega Corrado Formigli in una puntata di Piazza pulita, il suo talkshow su La7. Chiudeva la serata parlando di diete, e fenomeni a me sconosciuti come l’anoressia (un’ossessione patologica sulla qualità della propria alimentazione). Corrado mi ha chiesto che dieta seguo, e io mi sono sentito sprofondare come in prima media quando non avevo studiato la poesia e venivo chiamato alla lavagna. Dieta? Io? Ho scoperto di avere fame di vegano, forse perché faccio yoga dall’adolescenza, o forse semplicemente perché magro. In realtà l’unica che vorrei fare è la dieta mediterranea. Anzi ITALIANA (maiuscolo!). Più faccio questa vita da nomade globale, più vengo colto da attacchi di nostalgia acuta, ho il patriottismo gastronomico dell’emigrante. Lo rivendico. Ne vado fiero. Nel mio ultimo libro sulle carte geografiche ho inserito anche una “globalizzazione del Prosecco”, per illustrare come il mondo intero voglia vivere come noi italiani. E ha ragione, accidenti se ha ragione. Anch’io vorrei nutrirmi come noi italiani, per favore. Eccome se mi piacerebbe, avere una dieta. Vallo a dire a United Airlines, Delta, Lufthansa, Japon Airlines o Emirates, sui cui voli mi nutro spesso male. Non parliamo delle mie immersioni nell’America profonda, il paese di mezzo dove i ristoranti che si spacciano per italiani credono che la nostra cucina si riconosca dalla quantità di aglio. Da grande voglio diventare salutista. Le regole le avrei: una lunga lista. Poi mi sveglio all’alba in un aeroporto sempre diverso, fisso uno specchio, vedo la faccia di uno che è stato preso a pugni per tutta la notte, e dimentico di cosa stavamo parlando.
Federico Rampini – Opinioni – Donna di La Repubblica – 18 novembre 2017 -

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