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sabato 18 novembre 2017

Lo Sapevate Che: Quando un maschio getta il rasoio...



Sfilano In Queste settimane, sui teleschermi americani, omaccioni con enormi barbe che l’immagine ad altissima definizione permette di esaminare pelo per pelo, inquietanti figure armate di bastoni di legno con il capo protetto da un elmetto. Sono i campioni di baseball, completamente inoffensivi, tra i quali, da qualche tempo, è esplosa la moda della super barba. Sarebbero affari loro, se non sapessimo che acconciature, mode, abbigliamento, tic delle celebrità sportive hanno enorme influenza sui giovani della nostra specie. Lo scorso anno uno dei miei nipotini, appassionato calciatorino e benedetto da una capigliatura forte e scura, tornò da una visita dal barbiere con i capelli tagliati “come Insigne”. Questo spiegò alla mamma americana sbalordita, che non aveva idea di chi fosse questo Insigne, il campioncino del Napoli calcio che aveva visto in televisione. Il ritorno della barba, osteggiata a lungo negli Usa come segnale di radicalismo di sinistra, è coinciso con giovani generazioni di attori che esibivano la peluria apparentemente incolta, ma in realtà curatissima, da cinque o sei giorni senza rasatura. Volevano creare quell’impressione di trasandatezza strafottente, d ribellione alle convinzioni che poi milioni di giovani conformisti avrebbero imitato. Cime uomo che porta la barba da mezzo secolo e ha resistito all’ordine di ragliarsela ricevuto, da giovane redattore, da un direttore di giornale, sono ovviamente poco obiettivo. Ma il prepotente successo della barba variamente lunga nell’America del nuovo millennio è sorprendente. Per decenni è stata guardata con la diffidenza di quel mio vecchio direttore che anni più tardi se la fece crescere a sua volta), in questo Paese che ha dato i natali a un certo signor Gillette e depositato, nel 1913, il brevetto del rasoio di sicurezza per le lamette a doppio taglio. Un viso fresco e ben rasato, anche se purtroppo spesso offeso da atroci e dozzinali dopobarba, era indispensabile per avere successo, professionale e romantico. Nella Hollywood in bianco e nero, tolti i film in costume, la barba era riservata ai villain, ai malvagi. Nel linguaggio popolare, e oggi evitano, “barbone” è un insulto. Tuttora, nessun politico oserebbe mostrarsi con la barba lunga, e fu nel 1913, l’anno del brevetto Gillette, che si videro per l’ultima volta i baffi di un presidente, William Talft. A Nixon veniva rimproverato il fatto che, verso le cinque del pomeriggio, l’ombra della sua barba nerissima gli scurisse le guance, gettando una luce ambigua sul suo viso; mentre John Kennedy appariva sempre rasato di fresco, dunque “sincero”. Ora la barba è accettata nella finanza, nello spettacolo, nello sport, nei rapporti fra i sessi. Uno studio vastissimo, pubblicato dal periodico ufficiale degli psicologi del comportamento, ha concluso che le donne non solo lo accettano ma l’apprezzano. Con qualche distinzione, però: il maschio con la barbetta incolta piace come possibile compagno per un’avventura; quello con una barba robusta è vista come una persona stabile, rassicurante partner di lungo corso e potenzialmente buon padre. La ricerca qualcosa di vero deve indicare, visto che la mia futura moglie scelse la mia barba per un matrimonio che resiste da 48 anni. Neppure l’irrompere degli Islamisti radicali, con i loro bavaglini di pelo, ha riportato il calendario dei costumi al tempo dei volti glabri costringendo i maschi alla quotidiana rasatura. Viceversa, le donne restano condannate alla depilazione delle gambe. E si sa che radersi è, onestamente, una barba (lo so, lo so, ho lottato e resistito per una pagina intera a questa tragica battuta e poi ho ceduto. Scusatemi.
Vittorio Zucconi –Opinioni – Donna di La Repubblica – 11 novembre 2017 -

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