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domenica 12 novembre 2017

Lo Sapevate che: Separazioni: Vietato usare i figli per regolare i conti tra coniugi...



Che Cosa E’ Successo? Qualcosa che ha spezzato relazioni, famiglie, vite. Un fenomeno a tratti impercettibile, anche se lo sfascio delle famiglie (92mila separazioni solo nel 2015) è una strage silenziosa. Tutto finisce, tutto può finire, ma qui spesso c’è un surplus che resta e non può finire: ed è la vita, sono i bambini. I piccoli diventano oggetto di contesa senza esclusione di colpi. Paolo non vede il figlio da sei mesi nonostante l’atto di separazione prevedeva un pomeriggio a settimana con il papà e un week end ogni 15 giorni, ma Giovanni non vuole più stare con il papà. Il discredito continuo della mamma, le ingiurie, hanno distrutto la figura paterna fino al punto che il bambino pensa di farne a meno. Invece per Anna è l’ex marito che non vuole vedere i figli, così la piccola piange ogni sera un’ora prima di addormentarsi. Sofferenze, azioni legali, ricorsi, come uno tsunami permanente perché forte come la morte è l’amore, ma qui diventa una malattia incurabile. Ci sono certamente motivi personali, ma le chiedo, caro Galimberti, quanto tutto questo dipende dalla società? Quanto incide il non lavoro, il timing frenetico, la relazionalità veloce e intangibile dei social? La sterilità delle relazioni nei quartieri dove solo si dorme? Le città fatte solo per il traffico e il commercio?    Fabrizio Floris f.floris@labins.it

Tute Queste Cose insieme, caro Fabrizio, ma due soprattutto: non sappiamo più amare, e il dolore che infliggiamo agli altri non ci commuove più. “Non sappiamo più amare” significa che quando ci siamo innamorati abbiamo confuso l’amore con la passione. E siccome la passione è una dimensione passiva che sospende la capacità del nostro Io di governare se stesso, e soprattutto non lo impegna in un’azione come invece richiede l’amore, quando la passione si estingue il nostro Io si risveglia dal suo incanto e va a cercare un altro incantamento, per tornare passivo e disimpegnato come ci si trova ad essere quando si è coinvolti nello spasmo di una passione. “Non ci commuove il dolore che infliggiamo agli altri” perché pensiamo solo alla nostra insoddisfazione, dal momento che al di là della passione, con l’altro non abbiamo condiviso un bel niente, se non il coinvolgimento passionale che, una volta estinto, ci ha fatto apparire l’altro come un estraneo, un insopportabile estraneo. E i figli? Ci siamo occupati di loro per quel tanto (che poi è pochissimo) che ci hanno intenerito o sedotto, non abbiamo giocato con loro, non li abbiamo osservati nella loro crescita. E soprattutto non abbiamo parlato con loro per creare quella base dialogica che poi s’interrompe quando ragazzi hanno 12 o 13 anni, per poi riprendere quando, trovandosi in difficoltà, ricominciano a parlare con noi solo se a suo tempo noi abbiamo parlato con loro. In caso diverso, anche per loro noi siamo degli estranei. I figli, tutti i figli, soffrono in presenza di una separazione, perché le loro correnti affettive orientate sui genitori si inceppano o diventano incerte, perché non sanno come raggiungere la meta a cui prima erano naturalmente indirizzati. Anche se non lo manifestano, la loro affettività è disturbata. E più sono piccoli, più il disturbo è significativo, perché vien meno il loro naturale oggetto d’ampre rappresentato da mamma e papà. È altrettanto vero che l’affettività dei figli è compromessa anche dalle convivenze dove, invece dell’amore, circola, espresso o sottinteso, fastidio, indifferenza, quando non violenza e odio. Pertanto sia che ci si separi sia che si continui a convivere in condizioni di disamore, il danno ai figli è fato. Inutile raccontarci altre storie. L’unico parziale rimedio è attenuare il danno con separazioni non dico “civili” che possono essere anche gelide e non meno dannose, ma cordiali, gentili, al limite affettuose, in modo da lasciare ai figli la sensazione che i loro canali affettivi non sono interrotti, anche se mamma e papà non vivono più insieme. Se poi i figli, come lei ricorda, diventano oggetto delle contese genitoriali, allora siamo alla crudeltà mentale di chi utilizza il sentimento incondizionato che lega i genitori ai figli per ottenere vantaggi economici, o semplicemente per vendicarsi del tradimento o dell’abbandono subito. La soddisfazione emotiva che dà la vendetta, quando il gioco condotto sulla testa dei bambini è pura e semplice crudeltà, quando è procrastinata restringe l’anima in fantasie di astiosità e crudeltà, impedendo un rapporto sereno nella crescita dei figli, perché un’anima rattrappita nella vendetta non è disponibile se non per un gioco crudele. Dopo non dobbiamo lamentarci se nell’adolescenza i nostri figli presentano un’affettività irritante. Dagli affetti e dai sentimenti si sono difesi per non essere sopraffatti dall’angoscia, quando hanno visto tutto l’odio e tutta la rabbia che correva tra i loro genitori.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di La Repubblica – 4 novembre 2017 -

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